ELK – Beech
(Bad Paintings, 2019)*
Come molte altre cose, anche la modalità espressiva del solitario intimismo da cameretta muta in maniera sensibile nel corso del tempo e delle generazioni; anzi, quella casalinga è forse la nicchia nella quale più hanno inciso trasformazioni tecniche e di sensibilità, a partire dall’introduzione di scarni strumenti elettronici e dalla (ri)scoperta delle registrazioni su cassetta. Eppure, esiste un sottile filo a legare i tormenti post-adolescenziali dei Novanta, l’indie-tronica dei primi Duemila e le contaminazioni con linguaggi giovanili degli anni più recenti.
Queste ed altre considerazioni sono spontaneamente suggerite dal brevissimo album di debutto di Joey Donnelly, ventunenne di Leeds che pubblica le sue canzoni sotto l’alias Elk. Leggendo le note di presentazione del lavoro, adesso ripubblicato su cassetta dopo l’uscita digitale dello scorso anno, si scopre che Joey è stato incitato alla scrittura solista dal fratello Mikey, a sua volta da qualche anno artefice delle delicate trame acustiche di Epilogues. Le loro sono appunto prospettive parzialmente diverse dell’intimismo cantautorale, sulle quali incide probabilmente la differenza d’età e un contesto di formazione musicale che nel caso di Joey sembra abbracciare una pluralità di linguaggi, in maniera niente affatto scontata.
Nei sette brani di “Beech” (appena venti minuti di durata complessiva, ma presentati come un album vero e proprio), si ritrovano infatti soprattutto scarne strimpellate acustiche in bassa fedeltà e interpretazioni di delicata introspezione, ma anche una poetica obliqua che abbraccia al tempo stesso sensazioni di malinconia rurale e di disagio metropolitano. Non a caso “Beech” è stato scritto nella residenza cittadina di Donnelly, ma registrato nella casa familiare, con il fattivo aiuto del fratello.
Ed è proprio una riflessiva quiete casalinga a promanare dalle concise canzoni di Donnelly, che delineano un granuloso spleen acustico, filtrato da ovattate screziature sonore e da melodie oblique, che da un lato costruiscono una tensione emotiva di stampo metropolitano (con echi di narcolettiche progressioni Bark Psychosis), mentre dall’altro si dischiudono a contemplazioni rurali come quelle dei brani più “folk” di Richard Adams. In un contesto di placida concisione, scandita da stillate corde acustiche, spicca la minimale ballata di cinque minuti “Something”, rifinita da delicate note pianistiche e la nervosa liberazione finale della tensione della conclusiva “Stupid World”, che introduce un ulteriore elemento di derivazione emo-core nella peculiare declinazione della poetica da cameretta di Joey Donnelly.
Tutto questo è condensato nei venti minuti di “Beech”, piccola summa di almeno un paio di decenni di intimismo da cameretta ma, soprattutto, frutto dell’espressione genuina di un giovane artista con pochi mezzi a disposizione, la giusta ispirazione e tanta voglia di comunicare una poetica semplice, che si rinnova nel tempo trovando la propria linfa in personalità sensibili, che incarnare sensazioni universali, che nel tempo si trasformano.
*disco della settimana dal 24 al 30 giugno 2019