sylvain_chauveau_kogetsudaiSYLVAIN CHAUVEAU – Kogetsudai
(Brocoli, 2013)

L’incessante ricerca di un grado espressivo prossimo allo zero da parte di Sylvain Chauveau negli ventiquattro minuti di “Kogetsudai” segna il secondo capitolo di un percorso di progressiva sottrazione di elementi intrapreso nel precedente lavoro solista “Singular Forms (Sometimes Repeated)” e in seguito sviluppato nella collaborazione con Stephan Mathieu e nell’ensemble non a caso denominato 0.

Ispirato dall’essenziale efficacia degli haiku e registrato appunto in Giappone con la collaborazione di Adam Wiltzie, a differenza del suo diretto predecessore “Kogetsudai” non è incentrato su ancorché scheletriche canzoni, bensì sul soffuso spoken word di Chauveau, che aleggia su fondali diafani, impalpabili come la sabbia delle sculture del giardino da cui il lavoro prende titolo.

Il quasi assoluto silenzio dell’iniziale “Tofukuji” lascia spazio a spettrali soffi sintetici, sui quali il lento stillare delle parole declamate da Chauveau assume un effetto ipnotico, straniante. Come favole post-moderne accompagnate dai sibili e dai rumori delle macchine, i brani descrivono visioni immateriali, nelle quali le stesse parole smarriscono le loro sembianze per divenire simulacri di un’umanità distante, nemmeno più percettibile nella decompressa quiete atomica della conclusiva title track.

Soltanto il candido incedere di rade note pianistiche della cullante “Lenta La Neve” e di “Demeure” riporta un rarefatto contenuto armonico nel contesto di un lavoro altrimenti volutamente asettico e allucinato, che più che ai sensi tangibili appare rivolto alle sinapsi nervose, da attivare assorbendolo lentamente ad occhi chiusi, come nella copertina del disco, in modo da provare a coglierne i prevalenti contenuti subliminali.

http://www.sylvainchauveau.com/

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