BEACH FOSSILS – Clash The Truth
(Captured Tracks, 2013)
Quattordici brani in trentacinque minuti: Dustin Payseur condensa al massimo i tempi della seconda opera sulla lunga distanza dei suoi Beach Fossils, progetto sostanzialmente personale incardinato in maniera coerente nel recupero delle sonorità wave di fine ‘80/inizio ’90 che costituisce il profilo sempre più riconoscibile della Captured Tracks.
Mentre lo scorso anno uno dei collaboratori in sede live dei Beach Fossils (il chitarrista Zachary Cole Smith) aveva spostato il suo interesse verso un mix in prevalenza strumentale tra cascate di feedback e tastiere liquide nel primo disco a nome DIIV, in “Clash The Truth” Payseur si concentra sull’efficacia pop di strutture di canzone concise che, sotto la guida della produzione di Ben Greenberg (The Men), addensano il proprio spessore sonoro, senza tuttavia smentire riferimenti ed estetica in media fedeltà.
L’operazione viene coronata da successo, almeno da un punto vista formale, visto che l’incedere dreamy dei brani si fa sempre più concreto e incalzante grazie al marcato accento posto sugli impulsi di basso e batteria, che scolora in evanescenze sinuose quasi solo nei tre episodi strumentali. Altrove, invece, l’irrobustito impianto di tastiere vintage, ritmiche asciutte, riverberi tenebrosi e residue citazioni jangly inclina pericolosamente verso le miscele surf-noise ormai tanto diffuse nel recente panorama indie statunitense, senza tuttavia riuscire a plasmare canzoni veramente efficaci.
La presenza di Kazu Makino (Blonde Redhead), che duetta con Payseur sulla vibrante “In Vertigo”, esplicita se non altro l’esistenza di quel ponte tra nostalgie dark-wave ed esperienze noise-pop, che “Clash The Truth” percorre con consapevolezza ma senza eccessivi slanci.
E se anche sarebbe affrettato trarre conclusioni di inaridimento della spinta propulsiva proposta negli ultimi anni dalla Captured Tracks, “Clash The Truth” risulta in definitiva annoverabile accanto allo stesso disco di DIIV e all’opera seconda di Wild Nothing in una serie di lavori tutto sommato gradevoli ma parzialmente incolori di recente proposti dall’etichetta newyorkese.