PAUWEL DE MEYER – Hideaway
(Arvato, 2013)
Belgio, ancora Belgio. Non si tratta di un fenomeno, né tanto meno di una scena artistica, bensì del semplice approfondimento dell’offerta musicale di un Paese piccolo ma che negli ultimi tempi sta proponendo validi interpreti, in particolare in ambito folk e cantautorale.
Dopo le ricche orchestrazioni di The Bear That Wasn’t, le malinconie casalinghe di Elvy e Tides Of The Blue Moon, l’aggraziato canzoniere folk di Imaginary Family e le traduzioni poetiche di S.A. Barstow, l’ultima piacevole scoperta proveniente dal Belgio risponde al nome di Pauwel De Meyer, songwriter che ha debuttato nel 2011 con “What Do They Do With Boys Like Us” e in seguito ha supportato in alcune esibizioni dal vivo Benjamin Francis Leftwich.
I ventidue minuti del mini album “Hideaway” rivelano l’ispirazione di De Meyer in otto concisi brani di fluido lirismo, che sviluppano l’essenziale impianto di una voce lieve ma profonda e di scarni arpeggi chitarristici, il cui cadenzato incedere viene però accuratamente rifinito da ritmiche sfumate e alimentato da costruzioni in crescendo, che ne enfatizzano il contenuto emotivo.
Le sentite interpretazioni del cantautore belga si snodano infatti su ovattate atmosfere acustiche (“I Don’t Think So”) e moderati crescendo armonici (“Woods” “Two Feet On The Ground”), che in “Double Bed, View On The Beach” e nel delizioso duetto della title track vedono De Meyer avvicinarsi, per timbro e doti espressive, al miglior Gus Black. Quando infine le corde cedono il passo ai tasti del pianoforte, nascono ballate in punta di dita dalle sfumature notturne (“Do You Remember”), che esaltano il romanticismo di fondo del songwriting dell’artista belga, delicatamente introspettivo ma dotato di buona personalità.