TUNNG – Turbines
(Full Time Hobby, 2013)
Si era capito già da qualche tempo che Mike Lindsay e Sam Genders si stavano indirizzando verso percorsi diversi; collaborazioni e progetti paralleli quali The Accidental, Cheek Mountain Thief e Diagrams testimoniavano la volontà di entrambi i fulcri creativi dei Tunng di sviluppare proprie personali declinazioni di quella strana miscela di tradizione folk e orditi elettronici che per quattro album e quasi un decennio ha caratterizzato una delle più brillanti esperienze di rinnovamento folk provenienti dall’Inghilterra.
Adesso la separazione tra i due è consacrata dal quinto album firmato Tunng, ragione sociale adesso riferibile al solo Lindsay, adesso alla guida di una stabile formazione che vede senz’altro accresciuto il ruolo della brava vocalist e polistrumentista Becky Jacobs.
Queste dunque le premesse di “Turbines”, lavoro che per la rinnovata band segna una vera e propria ripartenza artistica, nonché un parziale ritorno alla sbilenca giocosità folk-tronica delle origini, in chiara controtendenza rispetto alla più spiccata vocazione “indie” di “Good Arrows” e “…And Then We Saw Land”.
Il nuovo lavoro, improntato all’unitaria narrazione delle vicende di un villaggio immaginario, si caratterizza inoltre per tonalità ulteriormente sfumate, che rendono ancor più trasognato l’incedere di gran parte dei suoi nove brani. Se infatti è vero che le pulsazioni dell’iniziale “Once” e i vivaci intrecci melodici di “The Village” (quasi il brano-manifesto del disco) gettano un ponte tra passato elettronico e colorati puzzle folk, “Turbines” devia piuttosto verso ambientazioni sonore rarefatte, tuttavia solcate da segmentazioni ritmiche assai marcate, deputate appunto a conferire vitalità e movimento a brani, se possibile, ancor più sfuggenti e mutanti che in passato.
Così, ad esempio, i cori leggiadri di “By This” scorrono su layers di tastiere liquide, mentre le note acustiche pizzicate di “Bloodlines” sono innestate negli interstizi ritmici dall’incedere quasi marziale. L’utilizzo di samples e loop dilata ulteriormente le atmosfere, accentuando i caratteri visionari delle narrazioni di “Turbines”, come se la tradizione arcadica fosse immersa in un denso alone dal sapore vagamente acido, che tende però a tratti a stemperare i toni in maniera eccessiva, tanto più nella deliberata assenza di soluzioni dall’impatto davvero dirette.
La durata complessiva del disco, contenuta in trentanove minuti, rende comunque gradevole il viaggio nel paese immaginario dei Tunng, che in “Turbines” indirizzano la loro perenne transizione verso astrazioni di incantata psichedelia folk-tronica.