field_harmonics_wallsFIELD HARMONICS – Walls
(Wayside And Woodland, 2013)

Che qualcosa nel contemplativo universo dei vagheggiatori della countryside britannica si stesse trasformando lo si percepiva già da qualche tempo: mentre il suo sodale negli Epic45 Ben Holton deviava con decisione verso il formato pop nel secondo capitolo a nome My Autumn Empire, Rob Glover dà libero sfogo nel nuovo progetto personale Field Harmonics a quella nostalgica vena sintetica che con la band era affiorata appena in superficie nel mini album “In All The Empty Houses” (2009).

“Walls” segna invece una netta accelerazione, tanto marcata quanto disorientante, da parte dell’artista inglese verso un recupero di sonorità radicate in profondità negli anni ’80 più spensierati ed edonisti; seppure l’interpretazione resane da Glover è a metà tra l’esperienza e la ricostruzione ideale, dalle otto tracce dell’album risulta inevitabile la considerazione di quanto la spensieratezza da cocktail (quando non da dancefloor!) di questa nuova veste sia distante dal placido abbandono a rarefazioni elettro-acustiche al quale era stata finora improntata quasi tutta la sua precedente produzione. L’intro strumentale di due minuti “Proem” può risultare quasi fuorviante rispetto al corso del lavoro, che invece vira subito nella direzione di battiti sintetici brillanti e profondi, deputati a sorreggere melodie definite e residue evanescenze.

Per il resto, invece, “Walls” si incanala con decisione verso un synth-pop vivace e raffinato, evidente erede di New Order e primi Tears For Fears (quando non addirittura Pet Shop Boys). Quando non eccede enfasi ritmiche, come avviene invece nel caso delle due impervie parti della conclusiva “Everyone”, Glover riesce a gestire la transizione alle sonorità prescelte in maniera tutto sommato equilibrata, lasciando ancora intravedere barlumi di sognante levità (“Regret”, “Voice”) e parabole luminose di tastiere liquide (“Kessler”).

Si tratta dunque di una mutazione davvero notevole e probabilmente non estemporanea, così come preannunciato in un dialogo di circa un anno fa con lo stesso Glover. L’impatto con questa sua nuova veste può dunque apparire spiazzante, tanto da vanificare ogni tentativo di riscontrarvi una qualche coerenza con il passato negli Epic45 e in The Toy Library ma, superato lo sbalordimento iniziale, può pensarsi che Glover abbia voluto semplicemente abbandonare gli usuali quadretti bucolici per trasformarsi in uno “smalltown boy” proiettato all’improvviso nella luccicante vita notturna metropolitana.


http://fieldharmonics.tumblr.com/

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