LEE NOBLE – Ruiner
(Bathetic, 2013)
A fronte delle sempre più diffuse intersezioni tra sperimentazioni sonore e formule che non disdegnano strutture melodiche di canzone, quella elaborata da Lee Noble in “Ruiner” risulta davvero particolare. In nove tracce il polistrumentista californiano, già sotterraneo protagonista di alcune uscite su cassetta e vinile nell’ultimo triennio, propone un eterodosso campionario di drone analogici, organi, chitarre, banjo, pulsazioni e samples assortiti sulle quali aleggiano lievi correnti armoniche, in un caleidoscopio di soluzioni sonore sfuggente a definizioni e riferimenti univoci.
Tratto comune del lavoro può riscontrarsi nella deliberata indeterminatezza formale dei brani di Noble, tutti o quasi pervasi da evanescenze create da riverberi e filtraggi eppure di volta in volta plasmati verso direzioni diverse, dalla folktronica al drone-folk più evocativo passando per fosche rarefazioni elettro-acustiche. Nei poco più di quaranta minuti del lavoro, si passa così senza apparenti cesure da umbratili litanie degne di Grouper o Zelienople (le saturazioni dell’iniziale “Covers”, i viaggi onirici di “Demon Pond” e “Disintegrate Ideas”) alle trasognate scarnificazioni pop di Benoît Pioulard (“December ∞”, “Remind Me”), fino a mutazioni repentine da astratta glossolalia a giocosi impulsi analogici (“Rewilding”).
L’incredibile varietà di “Ruiner” non ne diluisce per ciò stesso l’identità, in continua evoluzione, di visionario folk post-moderno, che eleva con merito Lee Noble nel novero dei più intraprendenti artefici dell’avvicinamento in chiave sperimentale di linguaggi espressivi diversi.