esmerine_dalmakESMERINE – Dalmak
(Constellation, 2013)

La ricerca di un sincretismo tra culture e linguaggi musicali ha condotto fino a Istanbul l’ensemble guidato da Bruce Cawdron (Godspeed You! Black Emperor) e Rebecca Foon (Silver Mt. Zion, Saltland) per la realizzazione del suo quarto album. Già nel precedente “La Lechuza”, tra le righe del commosso omaggio alla memoria di Lhasa De Sela, si erano affacciate sfumature klezmer, che gettavano un ponte tra mondi in apparenza distanti e tra diversi modi di rendere il pluralismo esecutivo in un contesto da camera ovvero prossimo a quello di una banda.

“Dalmak” sviluppa in maniera sensibile quest’ultimo aspetto, attraverso speziati sentori mediorentali – peraltro mai del tutto estranei allo spettro di interesse dei musicisti dei collettivi québécois – respirati in loco e fedelmente introiettati nelle nuove composizioni da una band non solo ampliatasi a quartetto grazie allo stabile contributo di Jamie Thompson e Brian Sanderson ma ulteriormente integrata dalla partecipazione al lavoro di quattro musicisti turchi, che suonano anche strumenti tradizionali quali meh, barama e saz.

Accantonato dunque almeno per il momento il tentativo di integrazione melodica in formato di canzoni del disco precedente, gli Esmerine tornano a un registro quasi interamente strumentale, che solo in poche occasioni perpetua le abituali ambientazioni di camerismo romantico imperniato su note di piano (“Hayale Dalmak”) e struggenti abbracci d’archi (“Learning To Crawl”, “White Pine”). Il nucleo di “Dalmak” e la sua parte preponderante sono invece costituiti da una grana sonora che negli album di Esmerine non era mai stata così spessa e nervosa, percorsa com’è nell’occasione da ritmiche tribali (“Lost River Blues II”) e contaminate torsioni elettriche (“Translator’s Clos I”). La sola invocazione tra sacro e profano della conclusiva “Yavri Yavri” sembra invece coniugare in maniera omogenea ambientazioni sospese su archi inquieti con le radici ancestrali ricercate dallo sguardo di Cawdron e Foon verso il Medio Oriente.

L’interesse etnografico si rivela dunque senz’altro utile ad amplificare il substrato cameristico della band, nella sua ininterrotta ricerca della propria via d’uscita dagli angusti confini delle proprie mirabili radici post-rock. Quando però – e in “Dalmak” capita piuttosto spesso – le componenti orientali giungono a sovrastare le fragili tensioni romantiche di fondo, l’ibridazione di linguaggi musicali che costituisce l’essenza dell’album risulta un’operazione di sicuro interesse intellettuale più che la premessa di una materia sonora omogenea, in grado di coinvolgere con dolcezza e forza.

http://www.esmerine.com/

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