JULIANNA BARWICK – Nepenthe
(Dead Oceans, 2013)
La nuova tappa del percorso spirituale di Julianna Barwick la conduce al di là della selva oscura del precedente “The Magic Place” (2011) per consegnarla a un decompresso stato di atarassia.
La liberazione dal dolore emblematizzata dall’etimo di “Nepenthe” trova corrispondenza nel modo in cui l’artista newyorkese modella la propria vocalità – strumento centrale delle sue opere – in dieci nuovi brani intrisi di rarefazioni fascinose e stranianti.
Senza rinunciare alla sua incessante ricerca su tradizioni orali provenienti da varie parti del mondo, in “Nepenthe” la Barwick sembra voler proseguire nel tentativo di affrancare la sua espressione da quell’autismo comunicativo nel quale l’impiego della sola voce poteva rischiare di confinarla.
Ancor più che nel lavoro precedente, le sue mistiche evocazioni vengono tradotte in filigrane melodiche e avvolte in evanescenti nebbie droniche, che ne accompagnano lo svolgimento, quando non addirittura incardinate su partiture armoniche riconoscibili.
Tra le tante, le definite torsioni tonali di “Pyrrhic”, le dense saturazioni di Forever e le oniriche oscillazioni di “Crystal Lake” sarebbero state quasi impensabili al tempo delle prime opere della Barwick, oggi ben più affine a interpreti quali Jessica Bailiff e Liz Harris che non a un avanguardismo vocale fine a se stesso, grazie all’abilità di fornire un minimo di articolazione ai suoi ipnotici arabeschi vocali.
(pubblicato su Rockerilla n. 397, settembre 2013)
Un commento Aggiungi il tuo