LUCA CIUT – Seventeen Million Lonely Angels
(Self Released, 2013)
Nello sconfinato territorio espressivo compreso tra retaggi neoclassici, fascinazioni da soundtrack e frammenti di fragile minimalismo emozionale, il compositore triestino Luca Ciut può come pochi altri occupare idealmente una posizione centrale. Proveniente da una formazione accademica, Ciut ha finora lavorato in prevalenza quale autore di colonne sonore per il cinema e la televisione, prima di imbarcarsi in un’avventura solista caratterizzata da spontanea libertà espressiva.
“Seventeen Million Lonely Angels” è il suo primo album vero e proprio, alimentato dalle suggestioni sonore, paesaggistiche e umane di Los Angeles, città nella quale è stato scritto e registrato. Si tratta, innanzitutto, di un lavoro ben distante dai rischi di calligrafismo sempre latenti in tante analoghe esperienze di neoclassicismo più o meno ambientale, e ciò grazie tanto alla sensibilità di Ciut nel proporre un vario ventaglio di soluzioni compositive quanto alla sua delicatezza nell’affrontare la tematica di fondo, ovvero la solitudine e la difficoltà di interazione umana in una metropoli. Benché le dieci tracce di “Seventeen Million Lonely Angels” muovano tutte dal comune denominatore di fluide note pianistiche, un misurato lavoro di cesello ne amplifica semplicemente attraverso ovattate sospensioni temporali, evocando non a caso sensazioni descrittive da colonna sonora (“Lonely Creatures”, “Night At Griffith”).
Ma v’è di più, perché le melodie del pianoforte trovano graduale complemento in soffusi arrangiamenti cameristici e moderati accenni ritmici, che dischiudono scenari romantici, improntati a serena contemplazione ma anche profondamente toccanti (“A Quiet Place”). Sorprende invece, ma solo fino a un certo punto – trovare in simile contesto affacciarsi con discrezione la voce di Ciut, suadente e poco più che sussurrata, in due brani di raffinata compunzione (“Things Are Getting Better” e “Back To Life”), assimilabili alle soffuse interpretazioni a metà tra cantato e spoken word di Sylvain Chauveau.
Per trovare la giusta ispirazione e le motivazioni per realizzare un disco a proprio nome Ciut è dovuto andare a migliaia di chilometri di distanza, lavorando in totale autonomia creativa: “Seventeen Million Lonely Angels” offre un valido saggio delle sue qualità, tanto più evidenti quanto più il compositore triestino mostra di affrancarsi dall’accademismo attraverso la sensibilità con la quale cattura e traduce in musica pensieri e sensazioni evocati dall’osservazione del reale. Lontano dalle luci dei riflettori, tra lui e Fabrizio Paterlini anche l’Italia ha i suoi validi interpreti della “modern classical”, qualunque cosa si pensi di tale definizione.