OLAN MILL – Hiraeth
(Preservation, 2013)
Per Alex Smalley, la dimora alla quale era intitolato il precedente lavoro non è luogo sinonimo di rifugio, bensì l’idea figurata di una pace di impossibile conseguimento. È questo il significato sotteso al termine gallese “Hiraeth”, che designa la nostalgia di una casa alla quale non si può far ritorno, posto a titolo del nuovo lavoro del compositore e polistrumentista inglese.
In cinque brani che si snodano in bilico tra rapito coinvolgimento e un senso di irriducibile malinconia, Smalley sviluppa il tema attraverso un equilibrato dosaggio di rarefazioni elettroniche e maestose aperture orchestrali. Mentre il soffio d’apertura “Neutrino” sembrerebbe preludere a un lavoro popolato da ipnotiche modulazioni ambientali, lo svolgimento del disco si snoda in sinfonie di evanescente camerismo, dominate dal pianoforte e da struggenti abbracci d’archi, la cui fragile matrice emotiva è completata da vocalizzi spettrali e da una satura marea in lieve innalzamento.
Seguendo un percorso incrementale, le stille pianistiche delicate e dense di speranza di “Echo Of Tomorrow” scolorano nella tensione statica di “Cultivator”, instillata prima da inquieti movimenti d’archi e poi da una densa saturazione ambientale, e nella complessità dei quattordici minuti di “Nature For Equal Rights”, una vera e propria galleria di sensazioni, che dall’incanto acustico iniziale si trasforma gradualmente in passaggi “hauntologici” costellati da sospensioni angosciose e voci ultraterrene.
A tale ultima consistenza si ascrive in via esclusiva la conclusiva “Soft Furnishngs”, punto d’approdo del flusso emozionale e di coscienza sotteso a “Hiraeth”, opera che denota classe compositiva e una non comune capacità di creare mondi sonori in perfetto equilibrio tra evocazioni ambient e austere pièce orchestrali.