LOST IN THE TREES – Past Lives
(Anti-, 2014)
Se il commosso ricordo della madre in “A Church That Fits Our Needs” aveva ampliato a organica band la creatura artistica di Ari Picker, il terzo disco dei suoi Lost In The Trees si muove in parziale controtendenza, tanto dal punto di vista espressivo che del mood. Fin dal titolo, “Past Lives” appare il superamento della sofferenza attraverso una nuova pagina, da scrivere insieme a un novero più ristretto di collaboratori e secondo presupposti stilistici in parte diversi.
Sempre più distante dalla freschezza folk di “All Alone In An Empty House“, in “Past Lives” Picker mette a fuoco quella transizione sintetico-orchestrale veicolata dal pathos del disco precedente, rasserenando il mood e impiegando una strumentazione più ridotta, adesso decisamente dominata dalle tastiere.
Punto fermo restano gli arrangiamenti ariosi e avvolgenti, che tuttavia si limitano appena a incorniciare canzoni dalle evidenti velleità pop ma che stentano a decollare, probabilmente anche perché la loro ricorrente enfasi non è adeguatamente bilanciata da spontaneità emotiva.
Ne risente inevitabilmente la scorrevolezza delle canzoni, che scivolano via quale gradevole sottofondo ma faticano a lasciare traccia di sé, tra archi e intrecci vocali deputati a rifinire l’incedere di coltri di tastiere e ritmiche sintetiche a tratti ossessive (“Wake”). La fragile atmosfera da subito individuata dall’iniziale “Excos” fatica tuttavia a conseguire ampiezza di respiro, anche quando almeno nella struttura riecheggia una distante matrice folk, come nel caso della brillante title track.
In evidente controtendenza con una precisa scelta formale, suggellata dalla produzione di Nicolas Vernhes (Dirty Projectors, Deerhunter), il lirismo quasi sopranile di Ari Picker riesce a caricarsi di rinnovata espressività proprio nei passaggi più essenziali (l’ottima “Glass Harp” su tutte, ma anche “Sun” e la conclusiva “Upstairs”), nei quali l’impianto sintetico si riduce a semplice patina spettrale, che avvolge melodie timide e ariose. Proprio in queste ultime prove, Picker sembra aver ritrovato una dimensione di maggiore equilibrio tra l’originaria impronta folk e una vocazione pop non ancora del tutto sedimentata e che “Past Lives” dimostra debba essere gestita con misura ed essenzialità anziché essere sovrastata da beat e stratificazioni sintetiche.