OLAN MILL & KEUNG MANDELBROT – Seismology
(Hibernate, 2014)
Quando due modi diversi di manipolare le onde sonore prodotte dalle chitarre elettriche incrociano le rispettive derive, impattando l’uno sull’altro come faglie tettoniche in movimento, generano vibrazioni e scosse che non è fuori luogo associare simbolicamente a quelle telluriche.
È qualcosa più di una semplice immagine concettuale quella sottostante alla collaborazione tra Alex Smalley e Keung Mandelbrot, che appunto sotto il titolo di “Seismology” hanno raccolto una serie di combinazioni tra i rispettivi approcci sperimentali, in partenza più riflessivo e persino romantico il primo, improntato a un impatto sonoro granitico e privo di compromessi il secondo. È naturale che nell’incontro abbia prevalso il secondo, chiaramente riconoscibile nel denso magma che percorre tutto il lavoro, benché continuamente destrutturato e ricomposto secondo forme mutevoli.
Alle meditazioni fondate su loop e riverberi in progressivo addensamento della lunga sinfonia iniziale “Flinn-Engdahl” e di “Inner Plate / Intra Plate” fanno infatti da contraltare le screziature di rumore sintetico di “Basilicata” e le sature torsioni di “Linear Elasticity”, che denotano la prevalenza delle texture ambientali di Smalley, ancorché ispessite e stratificate talora in maniera piuttosto pesante, come ad acquisire una sostanza concreta e tangibile.
Solo la conclusiva “Geophone”, con il suo impianto di lievi soffi dronici interpolato a screziature di frequenze disturbate appare il frutto di un’equilibrata coesistenza tra i mondi dei due artisti, dei quali “Seismology” sembra enfatizzare le differenze di resa sonora piuttosto che le evidenti affinità di metodo. Operazione, comunque, meritevole di interesse, se non altro per l’ambizioso tentativo di coniugare mondi tanto vicini quanto diversi.
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