BE MY FRIEND IN EXILE – Apostasy
(Diametric, 2014)
Poco più di mezz’ora di dense folate dark-ambient impresse su nastro magnetico costituiscono il quarto capitolo delle esplorazioni sonore di Miguel Gomes, alias Be My Friend In Exile. “Apostasy” segue di un anno il suo finora unico lavoro sulla lunga distanza, “The Silence, The Darkness”, del quale segna un ulteriore stadio di sviluppo concettuale: se quell’album sprofondava negli incubi dei sotterranei dell’anima “Apostasy” prova a delinearne una via d’uscita, rivolta a una trascendenza tuttavia parimenti fosca e priva di speranza.
Più che invocazioni a divinità terribili, sono scene ultraterrene “in between” quelle contenute nelle sei tracce del nuovo lavoro di Gomes, eppure dotate di una consistenza rarefatta, persino ariosa, come raramente capita con proposte artistiche dark-ambient. Se infatti è vero che non mancano iterazioni ottundenti (“Oblivion”) e abrasive bordate distorte (il solo violento spasmo elettrico di “Death Loop”), in “Apostasy” Gomes mostra di aver lavorato principalmente per sottrazione, distillando le sue cupe visioni ambientali in modulazioni sempre più fini e impalpabili.
È come se, anelando al cielo, i suoi drone abbiano assunto una prevalente forma vaporosa, in grado di deviare in particolare le composizioni più lunghe (“Graveyard Of The Gods” e “Parallax”, sette e nove minuti rispettivamente) verso visioni cinematiche dai movimenti sinuosi e ipnotici, nelle cui pieghe è dato cogliere risonanze addirittura morbide e avvolgenti (la conclusiva “Pantheon”).
In tal senso “Apostasy” dischiude nuovi e ben più ampi orizzonti al progetto Be My Friend In Exile, attraverso un modo completo e totalizzante di intendere un’ambience oscura e sempre percorsa da sottile tensione ma pur sempre destinata a catturare quella dimensione immateriale che unisce spirito e suono.