yellow6_closer_to_the_sea_without_movingYELLOW6 – Closer To The Sea Without Moving
(Silber, 2014)

Seppure non consacrata in un album ufficiale ormai dai tempi di “When The Leaves Fall Like Snow” (2008), la prolifica attività di Jon Attwood non si è mai interrotta nemmeno dopo la chiusura dell’etichetta Make Mine Music, luogo naturalmente atto a ospitare le sue solitarie modulazioni applicate alla chitarra elettrica riassunte da ormai quasi tre lustri sotto l’alias Yellow6. Tra numerose collaborazioni, raccolte di materiale sparso, frammenti a tiratura limitata e le consuete edizioni natalizie, Attwood non ha mai smesso di pubblicare musica nel corso degli ultimi anni, eppure non può che essere salutato con piacere il suo ritorno al formato di un album vero e proprio, organicamente concepito e realizzato.

A partire dal titolo, “Closer To The Sea Without Moving” è un lavoro che si inscrive in assoluta coerenza nel percorso artistico di Attwood, tanto dal punto di vista dell’ispirazione quanto da quello degli elementi sonori: la prima, alla quale l’intero disco è dedicato, è mutuata dai processi di erosione causati dal mare in una zona costiera del Norfolk esplorata di recente da Attwood, mentre i secondi gravitano nuovamente sospesi in un universo pervaso da echi e riverberi che mutano forma e consistenza.

Il flusso sonoro di quasi un’ora condensato nel lavoro ne distilla l’impronta concettuale in una malinconia da mare d’inverno, il cui accurato dosaggio di risonanze e sospensioni esulta tanto da una rappresentazione di statico paesaggismo ambientale quanto dalla semplice iterazione di effetti chitarristici: le timbriche modulate da Attwood assumono infatti dimensioni via via cangianti e dinamiche tali da trasfigurarne quasi l’essenza. Il processo di “dematerializzazione” delle frequenze elettriche produce così un ventaglio di riflessi policromi, che creano una sequenza di rapite contemplazioni (“Lighthouse”, “Red Candy” e “Sleet Day”) nella quale affiorano tuttavia residui crescendo distorsivi (al culmine degli undici minuti di “Closer To The Sea (Part Two)”) e persino pulsazioni elettroniche notturne, che rimandano quasi ai tempi dello splendido “Melt Inside” (“Closer To The Sea (Part Three)”).

Nell’essenza romanticamente malinconica dell’ossequio alle sovrastanti forze naturali, “Closer To The Sea Without Moving” rende piena giustificazione del lungo periodo di frammentazione espressiva di Jon Attwood, restituendo ancor più affinata e composita la tavolozza attraverso la quale continua a plasmare un immaginario ambientale denso di sognanti languori naturalistici.

http://www.yellow6.com/

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