PASCAL SAVY – Adrift
(Eilean, 2014)
Del concetto di “hauntologia” spesso ricorrente tra i manipolatori di suoni ambientali, in “Adrift” Pascal Savy applica un’accezione propria, strettamente connessa con la trascendenza e l’immaginazione. Per comprenderla è sufficiente la lettura del titolo della traccia d’apertura, “Ghost Echoes”, e l’ascolto delle sue prime modulazioni spettrali, che avanzano con moto circolare, ispessendo la grana delle proprie frequenze distorte.
È il biglietto da visita e al tempo stesso la sostanza delle otto tracce dell’opera, sintesi maestosa del gioco di persistenze e rifrazioni prodotto non dal semplice filtraggio elettronico di torsioni chitarristiche ma dall’equilibrato dosaggio di loop e field recordings con saturazioni sintetiche e schegge percussive acustiche. Ne risultano dense stratificazioni sospese sul crinale tra luce e tenebra, entrambe tuttavia catturate nei loro caratteri più visionari e stranianti.
L’apparente antinomia tra l’urticante magma di “Maelstrom” e le vaporose texture ambientali di “Refraction” e “Aurora” è in realtà riassunta dalla capacità dello sperimentatore francese di costruire un’imponente materia sonora, in maniera non dissimile da artisti quali Tim Hecker e Lawrence English. L’approdo finale di “Adrift”, coerente con la sua impostazione concettuale di base, è tuttavia coerente con il concept alla sua base, riassunto com’è nell’isola immaginaria che, dopo la sublimazione nelle evanescenze di “Disappearance”, custodisce l’essenza più sinuosa e coinvolgente del suono nei riverberi policromi di “Return To Ithaca”.
Alla fine del viaggio, resta dunque una sensazione di pienezza, di spessore espressivo, che non per questo contraddice l’idea “hauntologica” di partenza, bensì la trasforma in avvolgente ipnosi ambient-drone.