MAP 165 – The Fatigue Of Sunlight And Wine
(VoxxoV, 2014)
È abbastanza raro che immagini luminose e piaceri della vita costituiscano la base concettuale di opere di sperimentazione ambientale, che solitamente prediligono un ascetismo freddo e oscuro. Dipende, ovviamente, dalla scelta degli artisti ma anche dai contesti nei quali tali opere sono create.
Il quattrocentesco convento provenzale che ha funto da teatro per le creazioni di Tim Hooper e Martin A. Smith (alias Map 165) possiede senz’altro i tratti dell’austerità del contesto nel quale si sono svolti i loro intrecci tra chitarre, samples e tastiere; volgendo tuttavia lo sguardo all’ambiente circostante, i due artisti non hanno potuto fare a meno di osservare i colori vividi della natura, assaporarne la ricchezza di profumi e sapori, sotto la luce dorata di un caldo sole estivo. Così hanno preso forma le dieci tracce di “The Fatigue Of Sunlight And Wine” che travalicano ampiamente la loro semplice cornice concettuale, recando con sé la dolce vitalità di contemplazioni immerse in una countryside vividamente illuminata.
L’ampiezza del respiro del lavoro si coglie fin dalle ariose aperture dell’iniziale “The Light Burnt Open”, brulicante di crepiti e ronzi naturali e minute irregolarità sintetiche. Piuttosto che a puntiformi micro-tonalità, “The Fatigue Of Sunlight And Wine” mostra tuttavia ben presto di essere improntato a un approccio descrittivo dagli spiccati contenuti armonici, particolarmente evidenti in pièce cameristiche quali “The Sunshine Slumbered Among The Roses” e “The Smell Of Dust”. Sparse note risuonanti e prolungate vibrazioni degli archi vengono modulate nel corso del lavoro secondo una pluralità di consistenze timbriche, fino a sfociare nella brezza evanescente della sinfonia in miniatura “The Sound Of Your Heart Beating Against The Burning Ground Where You Lie” (undici minuti).
I loop sonnolenti di “It Was the Nightingale”, le disadorne note di pianoforte del frammento di un minuto “Across The Dome Of The Scalded Sky” e i placidi arpeggi acustici della conclusiva “The Colours Hurt My Eyes” completano il quadro di un lavoro frutto di un calibrato bilanciamento tra il rigore di compunte schegge elettro-acustiche e la vivida potenza di una natura che riempie di sé l’intero arco sensoriale. Così, le innumerevoli falde sonore delle quali si compone fanno di “The Fatigue Of Sunlight And Wine” un lavoro di indubbio fascino e abilità realizzativa, tra i più intriganti pubblicati nell’ultimo scorcio dello scorso anno, che come tale non è mai troppo tardi per scoprire.