p60_methodsP60 – Methods
(Second Language, 2015)

La prima pubblicazione annuale dell’imperdibile serie di uscite targate Second Language, che interrompe un inedito silenzio semestrale dell’etichetta guidata da Glen Johnson, è un’immaginaria mappa sonora che reca una sigla criptica e trae origine da una coincidenza.
La prima, P60, contraddistingue il neonato progetto dei fratelli Peter e Phillip Walker (quest’ultimo ha un passato nella band post-punk scozzese Knives Replace Air), la seconda è il ritrovamento da parte loro di una serie di vecchi synth analogici e rudimentali drum machine nella soffitta della casa uno zio da poco scomparso.

Il paesaggio idealmente illustrato attraverso le quattordici brevi cartoline sonore raccolte in “Methods” è invece quanto di più post-industriale e allucinato si possa concepire: quello di Cumbernauld, una delle “new towns” create dopo la seconda guerra mondiale per ospitare parte della popolazione che all’epoca rendeva Glasgow una città sovraffollata e affetta da carenza abitative.
Lo stile modernista secondo il quale la cittadina situata, per stridente contrasto, nella zona rurale del Lanarkshire era stata creata è precocemente invecchiato, gli edifici hanno cominciato inevitabilmente a ricoprirsi di ruggine e molti dei suoi insediamenti sono stati abbandonati, tanto che Cumbernauld vanta numerose e poco invidiabili menzioni tra i luoghi più brutti (e assurdi) del pianeta. Da questo luogo surreale, i fratelli Walker hanno tratto spunto per “Methods”, che nei suoni e nei mezzi impiegati, del resto all’incirca coevi alla costruzione della “new town”, rispecchia il carattere post-umano del suo paesaggio urbano incredibile, quasi da sci-fi.

“Methods” si atteggia così a galleria sonora di allucinato modernariato retrò, che dagli strumenti elettronici primordiali trae timbriche in prevalenza spettrali, in funzione descrittivo-ambientale piuttosto che ritmico-propulsiva. Eppure, non mancano accenni pulsanti di un’elettronica di stampo teutonico anni ’60-’70 (ad esempio “Kronecker Product” e “Deco Nude”), anche se il corpo principale del lavoro è rappresentato da una sequenza di impulsi analogici prolungati (“Ouverture” e “Ways Of Seeing”) o riprodotti in iterazioni ipnotiche, che fanno ripensare ad altri cultori del modernariato quali i primi Jessamine (“Think Of A Number”).

Tutti i brani possiedono comunque un quid di spettrale che, oltre ad essere molto probabilmente quel che ha convinto Glen Johnson a pubblicare il disco, rappresenta in maniera emblematica l’inversione di piani tra umanità e spersonalizzazione, tra strumentazione d’annata e ingegno espressivo odierno. Come a dimostrare che non ogni creazione intellettuale è destinata alla fruizione umana e che non ogni suono prodotto da synth analogici sia per ciò stesso artificiale nei suoi contenuti.


http://www.secondlanguagemusic.com/

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