label spot: SECOND LANGUAGE

La vera rivoluzione…è far sopravvivere i dischi!

new 2L logoCome provare a tamponare l’esondante mole di musica “dematerializzata” che quotidianamente invade orecchie e pc, nella maggior parte dei casi lasciano scarse tracce durevoli di sé?
Posta in questi termini, la questione potrebbe apparire un anacronismo donchisciottesco, invece si tratta del ben meno generalizzato obiettivo preliminare al progetto Second Language, etichetta destinata, prima ancora che al mercato, a dare soddisfazione al gusto artistico ed estetico dei suoi tre fondatori, gli inglesi Glen Johnson (Piano Magic) e David Sheppard (musicista, dj e scrittore) e il danese Martin Holm.

Né snobismo né nostalgia animano i tre quando, a fine 2009, dopo che Glen Johnson aveva realizzato tramite sottoscrizione la tiratura in tutti pezzi unici dell’album del suo progetto elettronico Textile Ranch “Tombola”, lanciano una sottoscrizione più ampia, collegata a una serie di uscite già preventivate per l’anno seguente, tutte caratterizzate da tirature limitate e da confezioni fatte a mano, sovente comprensive di una serie di benefit (cd bonus, miniature librarie, lenti di ingrandimento, fanzine, scatole di varie forme e dimensioni che ne costituiscono le confezioni) e in generale di piccole peculiarità, tali da restituire significato come oggetto al supporto musicale.

Al compimento del terzo anno di attività, la ventina di titoli del catalogo di Second Language tracciano però il profilo di un’etichetta la cui attenzione non si è certo concentrata soltanto sulle modalità di presentazione delle proprie produzioni, ma che nel frattempo è riuscita a coagulare intorno a sé una sorta di “cenacolo artistico”, costituito da musicisti in molti casi legati ai fondatori stessi dell’etichetta, accomunati da sensibilità e approcci analoghi al di là degli ambiti stilistici di riferimento e soprattutto destinatari di un’assoluta autonomia nelle loro scelte creative.

pete astorRappresentativa degli ambiti d’interesse di Second Language è già la prima uscita del suo catalogo, la raccolta benefica a finalità ambientalista “Music And Migration“, alla quale partecipano ventuno artisti variamente impegnati in territori folk, neoclassici, elettronici e sperimentali in genere (da Darren Hayman, a Xela, da Peter Broderick a Leyland Kirby). Ad essa seguiranno altre quattro compilation – un quarto del catalogo attuale – rispondenti alla medesima finalità di base, ovvero quella di concedere spazio a quanti più artisti possibili, che si tratti di nomi consolidati o ritorni eccellenti (da segnalare in particolare quelli di Pete Astor e Mark Fry), ma anche tante piccole novità meritevoli di scoperta.

La limitatezza delle edizioni, la cui quantità è comunque di volta in volta calibrata secondo le previsioni di vendita dei titoli (tre quarti dei quali sono ben presto finiti sold out), circoscrive a una ben precisa nicchia di mercato l’offerta di Second Language. Ma non per questo si deve pensare che sottostante alla filosofia dell’etichetta vi sia una qualche forma di elitarismo, come dimostra il fatto che almeno le sue uscite di maggior richiamo sono state non solo stampate in un numero “ordinario” di copie, ma anche distribuite attraverso canali ben più ampi rispetto alla sola sottoscrizione o all’acquisto diretto presso l’etichetta.
In questo senso, l’ultimo disco di Piano Magic, “Life Has Not Finished With Me Yet“, rappresenta una sorta di importante passaggio di crescita di un’etichetta che dimostra così di non rivolgersi soltanto a una delimitata schiera di cultori di sonorità elettro-acustiche e dell’oggetto-cd, ma di poter reggere l’impatto con il mercato discografico, dalle cui logiche potrà continuare a offrire rifugio alla genuina indipendenza degli artisti che ne sposeranno la filosofia. Niente affatto nostalgica, anzi, rivoluzionaria!

Dopo tre anni di attività, Glen Johnson e David Sheppard tracciano, dall’interno, un bilancio dell’esperienza di Second Language e approfondirne la logica, niente affatto nostalgica, anzi, rivoluzionaria!

Com’è nata l’idea di creare un’etichetta peculiare come Second Language?
David: è come se si fosse manifestata da sola. Glen aveva intenzione di realizzare un’edizione super-limitata del disco del suo progetto Textile Ranch (“Tombola”) e stava cercando un’etichetta adatta; più o meno nello stesso periodo il nostro comune amico Martin Holm, stava mettendo insieme dei brani per un progetto benefico a tema ambientale attraverso MySpace, che ritenevamo potessero invece dar luogo a una bella raccolta in formato fisico. Allora abbiamo avuto l’impulso iniziale per Second Language, pubblicando prima l’album di Glen e poco dopo la compilation “Music & Migration”.
Noi comunque non consideriamo l’etichetta ‘peculiare’, più che altro ‘particolare’, forse…
Glen: Oltre a questo, per un motivo o un altro, da parte nostra c’era una diffusa frustrazione nei confronti di quasi tutte le altre etichette con le quali avessimo lavorato. Quando “sei” la tua etichetta, hai solo te stesso da incolpare se le cose vanno male. E ottieni risposte molto più rapide sull’andamento dei suoi conti….

Qualcuno potrebbe pensare (e posso dire che in effetti lo pensa) che pubblicare (per lo più) edizioni limitate sia un modo elitario di diffondere la musica; cosa rispondereste a una simile affermazione?
D.: Il termine “elitismo” implica arroganza e io non credo che nessuno di noi possa essere onestamente definito in tal modo. Stiamo semplicemente provando restituire al mondo della musica una certa “particolarità” ed è per questo che cerchiamo di resistere al download. La gente deve fare un po’ di sforzo per ascoltare ed entrare in possesso delle nostre produzioni. L’operazione è simile a quella dei tanti artisti che stampano i propri dischi in edizione limitata. È qualcosa di elitario?

tyneham houseLe deliziose confezioni fatte a mano sono uno dei caratteri distintivi di Second Language: gli artisti sono coinvolti nella concezione fisica e grafica dei loro dischi?
D.: Sì, capita molto spesso, anche se non sempre. Ci sono diversi gradi di coinvolgimento e comunque il packaging e l’artwork dei loro lavori è sempre sottoposto alla loro approvazione finale.
G.: In linea di massima, gli artisti confidano nella nostra impostazione estetica e ci lasciano un ampio margine creativo. Come ha detto David, la decisione finale spetta a loro l’approvazione l’ultimo tratto, ma finora non si è ancora verificata una situazione in cui l’artista ha detto “che cazzo è??!?”.

Come scegliete i materiali? E quante persone sono impregnate nella realizzazione fisica delle confezioni?
D. : Glen è generalmente responsabile di questo settore, anche se utilizzano sempre più i progettisti esterni, designer, tipografi, etc., per poter creare progetti su più vasta scala. Ci sono ancora situazioni in cui quattro o cinque di noi si sono riuniti attorno a un grande tavolo ricoperto da mucchi di carta e oggetti vari, come a rinverdire il periodo d’oro del movimento Arts & Crafts, caricati da un sacco di tazze di tè…
G.: Il mio cruccio principale con Second Language è che non abbiamo quasi mai realizzato confezioni dotate di una qualità di design superiore. Dal punto di vista concettuale, spero ci si possa dar atto di aver avuto alcune idee molto interessanti, ma finora, non abbiamo avuto un valido progettista grafico a bordo, cosa che è destinata a cambiare a breve. D’ora in poi, penso che si vedrà accrescersi la qualità della progettazione e delle confezioni di Second Language.

klimaCredete che ora che tutti ascoltano la musica dal web ci sia ancora un po’ di spazio per l’oggetto-cd?
D.: Sì, e anche per l’oggetto-vinile. Direi che l’onnipresenza di brani on-line e l’accesso immediato a tutti i dischi conosciuti al semplice spostamento del mouse, in una certa misura svaluti inevitabilmente la musica. Noi stiamo tentando di restituirle quel valore.
G.: Anche così facendo, non viviamo certo l’illusione di essere in grado di riportare tutti indietro al supporto fisico. Il futuro è assolutamente digitale, naturalmente, ma non viviamo ancora nel futuro. Noi viviamo nel presente.

A proposito, cosa ne pensate del vinile? Pensate di pubblicare anche quel formato?
D.: Sì, ci stiamo avvicinando.
G.: Abbiamo già pubblicato I dischi di Mark Fry e di Piano Magic su vinile. E nel 2013 ce ne saranno di certo altri. Mi piacerebbe arrivare al punto di poter affermare che se non ci fosse l’aspetto economico, tutte le nostre uscite sarebbero su vinile.

E, in generale, cosa pensate dell’attuale stato del mercato discografico?
D.: È un casino e non funziona, in particolare per i musicisti in difficoltà che vedono le loro creazioni sparire, per niente. L’industria discografica è un gigante zoppo, che arranca nell’illusione di avere ancora un futuro basato secondo i vecchi modelli di marketing e diffusione. La fine è vicina!
G.: Non sono sicuro di essere d’accordo su tutto. Ovviamente, internet ha indotto le case discografiche a adattarsi o morire, e molte di loro si sono adattate con successo. Il digitale va di pari passo con il prodotto fisico e, quindi, la musica può ancora essere venduta in grande quantità, anche se non così ingente come in passato. Io lavoro per un grande distributore e posso vedere quanti album di Adele escano dai magazzini ogni giorno. Alla vista di quanti album “lei” è in grado di vendere, non si può pensare a una fine in vista.

plinthCome scegliete la musica da pubblicare su Second Language?
D.: Ci capita di essere circondati da un ampio novero di musicisti di talento, alcuni dei quali faticano a diffondere la propria musica, a volte perché la loro abilità di networking non è all’altezza delle loro capacità artistiche. Inoltre, ci viene inviato molto altro materiale. Quella di Second Language è una comunità ampia, ma provvista di un controllo di qualità abbastanza rigoroso. In sostanza, se una cosa piace abbastanza a Glen, a Martin e a me, la pubblichiamo.
G.: Il nostro criterio attuale è: se siamo in grado di sopravvivere quattro ore al pub con voi e fate musica decente, probabilmente pubblicheremo il vostro disco…sempre che siate disposti ad aspettare due anni (la nostra coda di pubblicazione è già piena fino ad allora).

Una buona parte del catalogo di Second Language è costituita da compilation: dipende da una precisa scelta di dare visibilità a un maggior numero di artisti, compresi alcuni poco noti?
D.: C’è un sacco di gran bella musica che non viene ascoltata. Le nostre raccolte sono un mezzo per offrire uno scorcio della fertile attività creativa di questi anni. Pensiamo che molti degli artisti che vi partecipano siano in grado di fare grandi album. Ma le nostre compilation non sono raccolte di brani messi insieme, ma dischi attentamente.

Molti degli artisti pubblicati da Second Language sono in qualche modo legati ai responsabili dell’etichetta: ritenete che in questi tre anni intorno a voi si sia costituito una sorta di “collettivo” di artisti che condividono uno stile e una filosofia comuni?
D.: Sì, in una certa misura questo è certamente vero, e del resto è così che preferiamo pensare alla nostra attività: un collettivo piuttosto che un business. Second Language adesso è dotata di una propria essenza, fatta di persone, fans, abbonati e musicisti che allo stesso modo si rivolgono a noi perché conoscono il tipo di cose che produciamo e il tipo di qualità che richiediamo.
G.: Credo che, inconsciamente, ci sia un’estetica sonora che si esplica attraverso tutto quello che abbiamo pubblicato, anche se avrei difficoltà ad attribuirvi una definizione precisa. La maggior parte delle nostre pubblicazioni potrebbero collocarsi comodamente una accanto all’altra, il che suggerirebbe che abbiamo criteri piuttosto precisi nel selezionarle.

Mark Fry in his painting studio landscapeDa Pete Astor a Mark Fry, Second Language sembra essersi specializzata nel proporre ritorni di artisti assenti dalle scene da lunghi anni: vi prefiggete proprio di (ri)scoprire musicisti (forse) dimenticati? Come siete entrati in contatto con loro?
D.: No, semplicemente ci piaceva la loro musica e allora abbiamo pensato di ridarvi nuovo respiro. Siamo orgogliosi di pubblicare la musica di artisti non più tanto giovani. Sia Mark che Pete possono considerarsi “amici di famiglia”, della nostra famiglia allargata….
G.: Non abbiamo intenzione di resuscitare carriere, ma apprezziamo sinceramente questi artisti e la loro musica. Quindi, se Linda Perhacs sta leggendo…

Dopo tre anni, potete fare un bilancio (sia artistico ed economico) dell’attività di Second Language e gettare un’occhiata al suo futuro prossimo?
D.: L’etichetta produce una modesta quantità di introiti, che poi reinvestiamo completamente per la successiva serie di uscite. È così che dovrebbe essere, credo. Non c’è nessun aereo privato di Second Language….non ancora!
G.: Abbiamo concluso il 2012 con una chiara visione di quel che faremo in seguito: in sostanza, pubblicare molti dischi in più quest’anno e migliorare la qualità delle confezioni. La musica si prende cura di se stessa – in tutta onestà posso passare in rassegna tutti i dischi pubblicati e dire: “Io amo quest’album!”.

(pubblicato su Rockerilla n. 389, gennaio 2013 – interview in English)

http://www.secondlanguagemusic.com

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