Mentre negli ultimi anni Keith Kenniff si è dedicato in particolar modo allo sviluppo di altri progetti, da Goldmund al duo Mint Julep insieme alla moglie Hollie, quello che per lungo tempo ha rappresentato il suo principale impegno è stato lasciato un po’ in disparte, tanto che nei sei anni trascorsi da “Unleft” (2009) si conta appena il mini “Moiety” (2012) oltre a una raccolta di remix. È dunque particolarmente significativo il ritorno del compositore statunitense a un’organica pubblicazione sotto la sigla Helios, che aveva designato piccoli gioielli di delicatezza elettro-acustica quali “Eingya” (2006) e “Caesura” (2008).
Frutto di una delle ormai abituali campagne di autofinanziamento in rete, “Yume” riprende un discorso espressivo da troppo tempo interrotto, proseguendo nel senso di un’amplificazione della magia sospesa di una musica dagli spiccati contenuti descrittivi attraverso elementi più concretamente tangibili.
Il carattere morbido e sognante delle composizioni di Kenniff permane inalterato nel nuovo lavoro – il cui titolo è appunto il termine giapponese che designa il sogno – seppure l’effetto di suggestione venga adesso raggiunto non solo attraverso intarsi di minimali schegge elettro-acustiche ma anche attraverso l’inserimento di profili ritmici definiti o abbinamenti di suoni e sensazioni che procedono per contrasto oltre che per complementarietà. Quest’ultimo rappresenta il dato più immediatamente caratterizzante “Yume”, a cominciare dalle secche cadenze dell’apertura “Every Passing Hour”, per poi procedere sulla medesima linea evolutiva con l’incontro tra bassi profondi e serafiche armonie pianistiche di “Pearls”, fino a trovare esito nelle torsioni chitarristiche mai così nettamente affioranti di “Embrace”.
A non mutare in maniera sostanziale è, tuttavia, la resa sonora ed emozionale dei brani, quasi tutti dotati delle abituali spiccate potenzialità descrittive ed emozionali che caratterizzano qualsiasi espressione artistica di Kenniff. Ad esempio, l’associazione di pulsazioni luminose e dilatazioni ambientali di “Sing The Same Song Twice” ribadisce appieno il senso di nostalgia applicata al viaggio dei brani di “Caesura”, mentre flussi sonori ancor più soffusi sfociano nella vaporosa ambience orchestrale di “Sonora Lac” e “Again”, oltre che nelle rarefazioni sognanti ricamate dai vocalizzi di “The Root”, tra gli episodi autenticamente più prossimi ai Sigur Rós dell’intera produzione di Helios.
È su quel sottile filo che unisce la band islandese alle contemplazioni stellari degli Hammock che può idealmente collocarsi “Yume”, lavoro da collocarsi in una coerente linea evolutiva della produzione di Helios, della quale espande lievemente il registro, mantenendone intatta la delicatezza delle suggestioni.