THE INWARD CIRCLES – Belated Movements for an Unsanctioned Exhumation August 1st 1984
(Corbel Stone Press, 2015)
È sempre più complesso e imperscrutabile il percorso artistico ultimamente seguito da Richard Skelton e da qualche tempo contrassegnato dall’alias The Inward Circles. Superato il breve periodo di vaporosa manifestazione dronica di “Landings” (2009), che l’aveva imposto all’attenzione di un pubblico non incline soltanto alla sperimentazione, l’artista si è ritirato in una sorta di eremo creativo in Cumbria, curando la poesia e l’aspetto visuale delle proprie opere piuttosto che preoccuparsi di renderne fruibile i contenuti.
Avviene così che la sua seconda prova sotto la nuova denominazione sia un’impervia sinfonia sotterranea di un’ora, ripartita in tre lunghi movimenti. L’aggettivo sotterraneo, in effetti, può ben attagliarsi, nei suoi vari significati, alla musica di Skelton, di per sé abitualmente nascosta alla luce della superficie e, nell’occasione, improntata a un claustrofobico scandagliamento di profondità cupe, magmatiche, popolate esclusivamente di ombre.
Apocalittica ed elegiaca, la sinfonia si apre con le abituali risonanze di prolungate vibrazioni d’archi, via via avviluppate da un magma incandescente di saturazioni atmosferiche e distorsioni, che trovano il proprio culmine nel crescendo drammatico dell’evocazione della conclusiva “Canis, Lynx, Ursus: Awake, Arise, Reclaim”, quasi una chiamata a raccolta degli spiriti silvestri, affinché salvino le anime del sottosuolo da un inesorabile destino di tenebra. Sembra quasi una metafore della transizione artistica di Skelton, come prigioniero di una desolazione che non riesce più a condividere, a liberare dai sotterranei della sua anima inquieta e del suo inestricabile solipsismo creativo.