AIDAN BAKER – Ecliptic Plane
(Dronarivm, 2015)
A margine delle sorprendenti traiettorie che lo hanno condotto in due recenti occasioni a cimentarsi con un visionario slow-core che contemplava l’elemento vocale (“Already Drowning“ e il recente doppio “Half Lives”), Aidan Baker non trascura affatto il suo linguaggio primigenio incentrato su loop e manipolazioni chitarristiche.
“Ecliptic Plane” riconduce infatti il prolifico artista canadese sui binari di una sperimentazione su timbriche e filtraggi applicati a modulazioni elettriche prolungate, manipolate e infinte trasfigurate in avvolgenti correnti ambientali. Non a caso l’immagine che fornisce il titolo all’album e il concept che lo anima fa riferimento al movimento apparente dell’orbita solare, tradotto nei sei movimenti di una sinfonia dronica dall’ampio respiro e dai luminosi riflessi applicati a visioni cosmiche dalle frequenze risuonanti in uno spazio in espansione.
Da tenebre remote affiorano così segnali di vita sotto forma di loop in lento movimento, dalla consistenza impalpabile: se infatti la grana dei riverberi impressi da Baker su mezzi di registrazione in bassa fedeltà si percepisce molto densa, le modulazioni ad essa impresse ne distillano l’essenza immateriale sotto forma di iterazioni il cui esito ipnotico sono gli oltre dieci minuti di vento solare della conclusiva “Heliotail”. Nel corso di “Ecliptic Plane” non mancano tuttavia increspature e torsioni di un rumore magmatico, latente sotto la coltre ambientale di “Termination Shock” e “Terrella”, né tremuli movimenti di riverberi sognanti (“Heliosphere”).
La mappatura cosmica di Baker trova dunque esito in uno dei più immaginifici tra i suoi (tanti) album, una via ulteriore tra cattedrali di rumore e sorprendenti cimenti nella scrittura di canzoni oblique, una via che descrive un’orbita ellittica, protesa verso l’infinito di persistenti frequenze ambient-drone.