DAUGHTER’S FEVER – Daughter’s Fever
(HellosQuare, 2015)
Daughter’s Fever è un originale ensemble da camera nel quale si fondono linguaggi classici e sperimentali, oltre all’obliqua sensibilità cantautorale di Paddy Mann, alias Grand Salvo. È quanto meno curioso vedere l’artista australiano – pure già riconosciuto nel suo non convenzionale approccio alt-folk – accanto, tra gli altri, al sassofonista Andrew Brooks e al manipolatore di suoni pianistici Erik Griswold.
Il risultato di tale composita interazione e quanto di più sghembo si possa immaginare, riassunto in cinque funambolici pezzi dalla durata media superiore agli otto minuti nei quali a una compassata ambience notturna e sparsi frammenti vocali si succedono ebrezze free e persino visionari viaggi di una psichedelia antica. È, quest’ultimo, il caso di “The Dark Eyes”, ballata dalle ritmiche insistite che Mann guida su terreni barrett-iani jazz-psych, mentre un jazz spettrale corre sulle intricate risonanze dei fiati in “The Green Window”.
L’essenza più affascinante dell’operazione Daughter’s Fever si coglie tuttavia nei passaggi più umbratili e compassati, a loro volta fortemente mutanti: così, i dodici minuti di “The Secret Room” scivolano via come una litania sussurrata su note e vibrazioni del pianoforte, che declinano in risonanze vellutate quello che nel brano d’apertura diventa qualcosa di molto simile alle inquiete cadenze dei Bark Psychosis o di Dean Roberts, associato nella conclusiva title track a un’ovattata ballata pianistica al rallentatore che mostra Paddy Moon inedito interprete di un understatement austero e affascinante.