PHILIPPE LAMY – Inner Stretch
(Whitelabrecs, 2016)
L’idea di estensione di tessuti e materie interne suggerita dal titolo del nuovo lavoro di Philippe Lamy rispecchia in maniera simbolica la pratica applicata dall’artista francese alla manipolazione del suono.
“Inner Stretch” espande infatti alla massima potenza la teoria di incessanti processamenti di field recordings, impulsi sintetici e di suoni di natura più disparata creati o intercettati da Lamy. Perseguendo la filosofia del “tutto è suono, il suono è tutto”, l’artista francese trasforma, destruttura e riassembla, fino a rende le fonti originarie impiegate per la sua opera irriconoscibili e, di fatto, irrilevanti.
Quello che rileva, affiorando all’ascolto dei sei brani di “Inner Stretch”, è invece una congerie di frequenze basse e spessi drone, che oscillano tra elongazioni di cupe saturazioni, screziature liquide e ottundenti stratificazioni sintetiche, che descrivono una materialità immaginaria, oltre i confini del suono.