[memories] BLUE BELL KNOLL

cocteau_twins_blue_bell_knollCOCTEAU TWINS – Blue Bell Knoll
(4AD, 1988)

La sottile linea di in(de)finitezza che, in fondo, accomunava molta della musica capace di impressionare un adolescente alla scoperta dello sconfinato universo di suoni inusitati (e accomuna anche quella di molta musica odierna…) trovava incarnazione privilegiata, tra anni ’80 e ’90, in rilucenti coltri di riverberi chitarristici e tastiere liquida.

I contorni appunto piacevolmente indefiniti di quei suoni abbracciavano quasi ogni aspetto dell’espressione artistica di band in seguito rimaste nella memoria personale e anche, in molti casi, in quella condivisa che ancora oggi li fa rivivere, suscitandone un’emulazione più o meno evolutiva. Vi era tuttavia un elemento la cui identità, pur tra mille effetti o soverchianti cascate di feedback, non veniva coinvolta da tale indeterminatezza, se non da parte di una band le cui radici venivano da più lontano, dai primi anni Ottanta e dalla temperie gothic-wave predominante in quegli anni. Erano i Cocteau Twins di Robin Guthrie e Simon Raymonde, il cui profilo espressivo era però caratterizzato in maniera unica e inconfondibile dalla voce celestiale di Liz Fraser e in particolare dal suo modo di impiegarla che trascendeva l’identità e l’essenza stessa del linguaggio.

Ben prima dell’immaginario “hopelandic” dei Sigur Rós e dell’eterea glossolalia di Julianna Barwick, Liz Fraser aveva fatto assurgere la propria voce a dignità di vero e proprio strumento, attraverso una serie di armonie vocali la cui natura inafferrabile si attagliava perfettamente alle soffici correnti sonore prodotte dalla combinazione di chitarre e tastiere dei suoi compagni di avventura.
Curioso come, benché la formula dei Cocteau Twins fosse già consolidata da qualche anno e avesse prodotto quattro dischi tra i quali l’universalmente riconosciuto “Treasure” (1984), la loro memoria personale resti legata a “Blue Bell Knoll”, disco del 1988 scoperto probabilmente a partire dalle carezze “pop” (in senso lato) di “Carolyn’s Fingers” e comunque tra gli apici di una produzione preziosa nella sua interezza, risultante dalla classe cristallina di due musicisti e di una interprete mai meno che straordinari.

Nei suoi dieci brani, “Blue Bell Knoll” condensa una sintesi emblematica delle radici dei Cocteau Twins, della loro identità e di quel percorso evolutivo che, qualche anno più tardi, avrebbe portato alle canzoni vere e proprie di “Four Calendar Café”. Ai carezzevoli gorgheggi della Fraser su “Carolyn’s Fingers” tengono infatti il passo e alla cullante ballata seguente “For Phoebe Still A Baby”, corrispondono infatti reminiscenze più tenebrose, sulle ali di pulsazioni e tastiere wave, che nella title track alleviano con impareggiabile leggiadria persino retaggi post-industriali, ma anche di derive esotico-esoteriche che in “Athol-Brose” lambiscono territori prossimi ai “cugini” Dead Can Dance. Ma il canto di Liz Fraser e gli stessi riflessi strumentali sono in prevalenza lievi e sofficemente purpurei, saldandosi in un unicum che in passaggi quali “The Itchy Glowbo Blow” e “Spooning Good Singing Gum” sembra quasi preludere allo shoegaze.

Proprio per il fatto di essere, per certi versi, album “di transizione”, “Blue Bell Knoll” incarna compiutamente l’essenza fragile e impalpabile della musica dei Cocteau Twins, sognante per natura eppure sfuggente alle rigide categorie definitorie, sospesa in una dimensione di grazia e dolcezza tanto sublime da sembrare soprannaturale.

http://www.cocteautwins.com/

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