PORYA HATAMI – Monads
(Line, 2017)
Anche al protagonista probabilmente più delicato e romantico della scena sperimentale iraniana capita di deviare verso un minimalismo astratto e, in superficie, asettico. È quel che avviene, a valle di una decina tra album solisti e collaborazioni assortite, a Porya Hatami nei dodici frammenti raccolti nel suo ultimo lavoro “Monads” che, come da titolo, indagano l’essenza più profonda di impulsi sintetici non ancora modulati in sequenze armoniche.
Dunque, in luogo degli abituali ceselli elettro-acustici dalle soffuse potenzialità descrittive, l’intero “Monads” vive su iterazioni e screziate dinamiche digitali, che per ampi tratti attraversano decostruzioni e incastri sonori di visionaria post-modernità. Eppure, anche in tale contesto dalle premesse puramente cerebrali, l’artista iraniano riesce a inserire elementi di un descrittivismo ambientale che non rinuncia a un’umanità di approccio nell’occasione veicolata dal minuzioso dosaggio di emissioni sintetiche primigenie.