SIMON MCCORRY – Song Lines
(Naviar, 2018)
Se è vero che l’ambiente naturale costituisce, soprattutto negli ultimi anni, un contesto tutto da esplorare attraverso il suono, non si può negare che le modalità attraverso le quali rappresentarlo non siano affatto univoche. In controtendenza rispetto alle operazioni legate a un soundscaping più o meno rimaneggiato, il violoncellista inglese Simon McCorry ricerca nei luoghi elementi di suggestione armonica ad essi immanenti, traducendoli in vere e proprie composizioni che non si limitino alla loro rappresentazione positivista, bensì siano in qualche misura originate al loro interno.
I cinque brani di “Song Lines” sono appunto il frutto dell’applicazione di tale approccio a diversi luoghi naturali o antropizzati sparsi per tutto il mondo, che a loro modo comunicano vibrazioni di frequenze e intensità variabili, pienamente rispecchiate dalle esecuzioni di McCorry. Ariose aperture armoniche ed elegiache elevazioni si proiettano fluttuanti dalla terra al cielo infinito in pièce di compunto romanticismo quali “The Third Stone” e “The Stars In The Firmament”, oltre che nell’aggraziato soffio di “Whisperer”, mentre dinamiche più nervose e tecniche esecutive meno convenzionali attraversano i sedici minuti di “Undefeated”.
Nel riferirsi a luoghi diversi, tutti da scoprire con l’immaginazione, ciascuno dei brani trasmette l’idea dell’ampiezza di registri conseguita da McCorry attraverso il proprio strumento che, dopo aver realizzato musica per la danza e per il teatro, in “Song Lines” ha compiuto un’opera di interessante estrinsecazione di una frequenza primigenia, dai caratteri sorprendentemente armonici.