LEBENSWELT – Metaphysics Of Entropy
(Under My Bed, 2018)*

L’understatement connaturato alla proposta musicale di Giampaolo Loffredo è fedelmente rispecchiato da quello delle produzioni limitate e delle distribuzioni rigorosamente “off” attraverso le quali veicola, da ormai quindici anni, le proprie creazioni sotto l’alias Lebenswelt.

Due anni dopo la rinascita, seguita a un decennio di quasi assoluto silenzio e coincisa con lo splendido “Shallow Nothingness In Molten Skies“, è nuovamente la piccola etichetta milanese Under My Bed a licenziare il quinto lavoro dell’artista romano, che negli otto intensi brani di “Metaphysics Of Entropy” riassume l’attuale stadio di sviluppo di quella che costituisce al tempo stesso la manifestazione istintiva di una condivisione di sensazioni e il frutto di una ricerca sonora radicata nelle cadenze rallentate dello slow-core e nelle progressioni emotive del post-rock. Benché le sue basi espressive siano, di tutta evidenza, connesse a simili temperie artistiche, Loffredo continua a perseguirne una significativa estensione delle rispettive formule, combinandole con la scrittura di canzoni compassate e con ambientazioni cameristico-atmosferiche, adesso amplificate grazie alla collaborazione con musicisti quali Stephano Stephanowic (My Dear Killer) e Pier Giorgio Storti (Belaqua Shua).

Da queste premesse ha preso dunque forma “Metaphysics Of Entropy”, lavoro che fin dal titolo suggerisce un inclinazione a dinamiche interiori e sensazioni fuggevoli, che solo una sensibilità peculiare come quella di Loffredo può riuscire a cogliere, trasformandole in suono. L’ambivalenza di ragione e sentimento che ne caratterizza l’ispirazione trova corrispondenza nella stessa scaletta del lavoro, le cui sei canzoni sono inscritte tra le due ideali parentesi costituite dagli strumentali che la aprono e la chiudono. Le sghembe note pianistiche, immerse nelle risonanze atmosferiche dell’iniziale “Unfinished Piece For Detuned Piano” e le timbriche chitarristiche alternamente sognanti e spettrali disseminate lungo gli oltre quattordici minuti della conclusiva title track incorniciano infatti i credibili tentativi di Loffredo di dare voce – letteralmente – a un’ibridazione tra una sorta di intimismo cantautorale e una varietà di sfumature di tempi e ambientazioni sonore. Se infatti il mood dei brani resta invariabilmente riflessivo, dimesso e intriso di agrodolce malinconia, il loro succedersi e ogni loro minimo passaggio combina con estrema spontaneità sensazioni e accenni stilistici mutevoli. Tra gli avvolgenti riverberi di “Dance Dance Dance” e le progressioni acustiche di “Let Down”, tra le austere cadenze di “Cold Swollen Hand” e il lirismo diluito in ambience cameristica di “Distant Colours”, si affaccia una miriade di affinità possibili, che dalle narcolessie cantautorali si estendono a oblique tinte neo-folk.

Mentre la musical saw di Luca Galuppini (ONQ) e il violoncello di Storti (che chiude il cerchio rileggendo un brano del primo album di Lebenswelt, “Illusions Hold”) esaltano l’austero romanticismo delle creazioni di Loffredo, le sue ispirate combinazioni tra sonorità acustiche ed elettriche, tra canzoni e atmosfera, confezionano un piccolo gioiello di poesia e fascino autunnale, da assaporare in penombra, abbracciandone il naturale understament.

*disco della settimana dal 29 ottobre al 4 novembre 2018

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