ANZIO GREEN – A Day Without Distance
(Rednetic, 2013)
C’è un confine ben più sottile di quanto si possa pensare tra rarefazioni ambientali e sognanti modulazioni chitarristiche. Ultima prova del teorema dimostrato da una lunga serie di artisti che va da Jon Attwood a Ulrich Schnauss, passando per Fennesz, può considerarsi il secondo capitolo della collaborazione transoceanica tra Wil Bolton (Cheju, The Ashes Of Piemonte, Ashlar) e il neozelandese Mark Streatfield (Zainetica). Le emozionali partiture ambientali del primo e le vivaci pulsazioni elettroniche del secondo tornano a incontrarsi nel progetto Anzio Green a ben cinque anni di distanza dal debutto “Autumn Honey”.
Frutto più di un lavoro in studio svoltosi in Inghilterra che di asettici scambi di file a migliaia di chilometri di distanza, i nove brani di “A Day Without Distance” non si limitano a disegnare immaginari scenari elettronici sul crinale tra ambient e idm, bensì dischiudono prospettive di vago sapore “pop” all’interazione tra scie sintetiche, ritmiche pervasive e dense torsioni chitarristiche.
In tal senso, l’ora di durata del lavoro appare in maniera decisa una sorta di omaggio all’universo dream-shoegaze di riverberi e feedback policromi, filtrati attraverso sensibilità digitali ma non per questo alieni da riflessi di fragile e sognante romanticismo.
Se i vocalizzi di Kate Tustain su “Fall Down” e le espanse tonalità della title track si atteggiano quali vere e proprie declinazioni aggiornate al tempo presente delle coinvolgenti cascate chitarristiche degli anni Novanta britannici, via via nel corso dell’album riescono distinguibili i profili dei due artisti, bilanciati in estatiche contemplazioni vivacizzate da pulsazioni cadenzate, ovvero separatamente esplicati in sinuose derive ambientali (si vedano gli oltre dieci minuti di “Tall Grass”) o in ventagli di sciabordanti saturazioni e battiti più pronunciati (“Sunset Solitude”, “Thunderstorm”).
L’equilibrio tra le sensibilità dei due artisti riesce comunque a sintetizzare una propria autonoma definizione espressiva, resa emblematica dagli otto minuti della conclusiva “Never Go Back”, ultima cartolina dai riflessi purpurei, sulla quale Bolton e Streatfield hanno impresso un messaggio di continuità tra linguaggi sonori solo in apparenza distinti da coordinate temporali e di “genere”.
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