JOHN MATTHIAS – Geisterfahrer
(Village Green, 2014)
Tra tutti i possibili binomi di attività, quello tra il ruolo di compositore e di scienziato della fisica appare particolarmente ardito. Eppure sono queste le due personalità e le due occupazioni principali di John Matthias, che pur generando onde e frequenze attraverso strumenti acustici ed elettronici si mantiene ben distante da un approccio eccessivamente scientifico alla musica.
E deve essere proprio questo approccio così particolare a far interessare a lui molti musicisti anche celebrati, fino a Thom Yorke che si è addirittura occupato di suoi remix. Solo una lettura superficiale della sua esperienza artistica e del contenuto del suo terzo lavoro “Geisterfahrer” potrebbe tuttavia inscriverlo nel cono d’ombra del più rinomato collega, in quanto la particolarissima fusione realizzata da Matthias tra un fiorito minimalismo cameristico con venature elettroniche e una scrittura folk delicata ed essenziale possiede una propria autonoma dignità, del tutto affrancata a quel possibile riferimento.
Sono sufficienti già i primi due brani della tracklist di “Geisterfahrer” per comprendere l’ampiezza di orizzonti creativi dell’artista inglese, che al preludio di quasi solo violino elettrico della title track fa succedere l’ipnotica circolarità un’obliqua ballata folk, “Pre-Loved/Vintage”, sorta di anello di congiunzione tra le filastrocche folk-troniche dei primi Tunng e le narrazioni marinare di James Yorkston, il tutto condito da una pronunciata vena melodica e un senso ritmico non indifferente.
Su tale falsariga, le cui tessere sono tuttavia continuamente ricombinate, si muove gran parte del lavoro, che alterna florilegi neoclassici basati su pianoforte e archi in forma solitaria (“Black Bank Road”, “Climbing Walls”, “Birdsong”) o dialoganti in intrecci di pregevole neoclassicismo (“Cross My Mind”) a esili strutture acustiche lasciate disadorne (“Stolen Guitar”) o compiute in forma di canzoni nelle quali tradizione e contemporaneità scolorano in volute armoniche vagamente ipnotiche (“Spreadsheet Blues”, “Burning Mouth”).
Sfaccettato eppure sorretto da una coesa matrice di fondo, “Geisterfahrer” risulta così non un semplice esercizio di commistione espressiva condotto con taglio scientifico, ma il frutto di un consapevole sincretismo tra linguaggi appartenenti a mondi in fondo meno distanti di quanto potrebbero superficialmente apparire.