MACHINONE – Tokyo
(Flau, 2014)
Quella del giapponese Daizo Kato, al debutto sotto l’alias Machinone, non è semplicemente una declinazione del fingerpicking animata dal delicato impressionismo orientale, né una rappresentazione di soundscaping elettro-acustico. Le diciannove brevi vignette sonore del suo debutto “Tokyo” offrono in realtà una sintesi dei due elementi sopra elencati, ricavandone tuttavia dalla fusione di tali linguaggi una terza sostanza espressiva non suscettibile di classificazioni univoche.
Innanzitutto, la chitarra acustica, ancorché centrale nelle composizioni di Kato, è solo il primo di una serie di strumenti che contribuiscono alla nostalgia descrizione dei paesaggi liminari al tessuto urbano della capitale giapponese e gradualmente da esso assorbiti. Inoltre, le stesse note acustiche non solo il frutto di sola perizia esecutiva bensì derivano da una “preparazione” della chitarra secondo modalità affini a quelle applicate da numerosi artisti al pianoforte e sono infine completate da un piccolo ensemble da lui stesso riassunto, che comprende tra gli altri banjo, clarinetto, organo e nastri vari, integrato dall’ulteriore collaborazione di Danny Norbury e Federico Durand. Il violoncello del primo aggiunge romanticismo a fragili bozzetti armonici, alimentando le sensazioni cameristiche già evocate da molti brani (“Siksy”, “Driftwood”), mentre le fragili texture del secondo ne completano l’afflato naturalistico-descrittivo.
Ci sono il linguaggio folk, la delicata lentezza delle armonie strumentali e la serenità delle contemplazioni bucoliche nell’articolata tavolozza di “Tokyo”, lavoro dal quale promanano grazia e calore niente affatto comuni, in una rappresentazione la cui origine è senz’altro radicata nella cultura e nel contesto paesaggistico giapponese ma la cui sensibile traduzione in cartoline sonore è in grado di assumere una valenza universale.