Fa obiettivamente un certo effetto ritrovare sotto un’unica sigla Mark Nelson e Robert Donne, due terzi degli indimenticabili Labradford, e accanto a loro il percussionista sperimentale Steven Hess, a sua volta legato a Nelson nell’incarnazione di Pan•American.
Proprio dell’ultimo Pan•American (“Cloud Room, Glass Room“, 2013) è diretto discendente il progetto Anjou, che ne eleva la line-up a un organico terzetto alle prese con una composita materia sonora, nell’occasione prodotta in prevalenza da synth modulari processati in maniera analogica. Frutto di un lavoro di cesello protrattosi per ben quattro anni, le otto tracce dell’omonimo debutto di Anjou scandagliano un universo particellare di modulazioni avvolgenti, popolato da increspature e pulsazioni ritmiche ora compassate ora taglienti, in una sequenza di visioni surreali e continuamente cangianti.
La claustrofobia liquida di “Sighting”, le sciabordanti sferzate di “Readings”, la maestosa progressione dronica di “Inclosed” e le graffianti distorsioni di “Fieldwork” affiorano come lingue di un magma sonoro pulsante, che si muove carsicamente in loop di densità ipnotica. In sostanziale continuità con le ultime prove di Pan•American, c’è ben poco di rassicurante o romantico nell’ambience plasmata da Anjou, nella quale l’inquietudine della contemporaneità trova affascinante sintesi nelle infinite esplorazioni di tre autentici masters at work.
(pubblicato su Rockerilla n. 410, ottobre 2014)