CAVE IN THE SKY – Sönghellir
(1631 Recordings, 2016)*
Cave In The Sky, ovvero di quando una denominazione artistica racconta già di per sé la storia della musica che identifica: non è dato sapere se Cye Wood avesse prescelto tale alias prima che il consiglio australiano delle arti ne finanziasse il progetto o prima ancora che la curiosità della scoperta di luoghi che lo ispirassero lo conducesse in Islanda, nella penisola occidentale dello Snæfellsnes, dove Jules Verne aveva collocato il punto di partenza del suo “Viaggio al centro della terra”.
Nel corso delle sue escursioni in quella zona, anche Wood si è in qualche modo addentrato della crosta terreste, scoprendo una delle numerose “grotte risuonanti” plasmate dalla lava nel corso dei secoli: “Sönghellir” è il termine islandese per definire simili cavità rocciose, all’interno delle quali il vento, il buio e lo stesso vuoto creano un ambiente sonoro magico, sospeso e poroso alle emissioni della voce umana o degli strumenti acustici. Wood è stato talmente impressionato dall’esperienza da utilizzare quel termine per identificare l’album di debutto di Cave In The Sky, progetto artistico estremamente articolato, che declina il neoclassicismo ambientale nel contesto di un ensemble che unisce folk e musica da camera.
Nelle nove tracce del lavoro, Cave In The Sky si presenta infatti come una piccola orchestra di otto elementi, la cui strumentazione spazia da pianoforte, archi ed effetti elettronici a percussioni acustiche, organi e strumenti a corda, spesso di ricercata derivazione tradizionale, se non etnica.
Con il piglio dell’esploratore, il polistrumentista Wood e i suoi compagni di viaggio hanno tracciato in “Sönghellir” un itinerario sonoro rispondente a un immaginario fortemente legato alla terra, ma arioso e irradiato di luce diffusa come possono essere soltanto gli sconfinati orizzonti di un lungo giorno di un’estate nordica. Tutto è misurato, persino ovattato, nei brani dell’ensemble australiano, che pur non mancando di confezionare, con tocco cinematico sempre misurato, pièce di minimalismo incentrate sul pianoforte (“Sola”, “Night Whale” e la stessa evanescente title track), mostra di possedere un’idea cameristica lucida, mutante ed estremamente organica. Lo dimostrano le filigrane di picking acustico che come esili trine ricamano paesaggi sotterranei in brani quali “Honey Tree” e “Rainbow Fish”, unendo idealmente i deserti vulcanici islandesi con quelli sabbiosi australiani, passando per le aride contemplazioni notturne dei Balmorhea.
Proprio la band texana, e in particolare i suoi primi lavori, può sovvenire più di una volta nel corso del lavoro, anche per l’impiego evocativo e pressoché del tutto desemantizzato della voce (“Honey Tree”, “The Gift”), oltre che per le cornici di arrangiamento di archi, al tempo stesso austeri e romantici, che hanno tra l’altro subito il trattamento da parte di Valgeir Sigurðsson in sede di mastering. Il ventaglio di suoni e suggestioni di Cave In The Sky si dimostra tuttavia ancor più complesso e in un certo senso più marcatamente atmosferico, come a cogliere echi e minute risonanze di profondità fisiche affascinanti anche se non sempre facilmente sondabili, al pari di quelle del cuore, che i nove brani di “Sönghellir” raggiungono con spontaneità ed efficacia di coinvolgimento straordinarie.
*disco della settimana dal 29 febbraio al 5 marzo 2016