RICHARD MOULT – Sjóraust
(Second Language, 2016)*
Per pochi altri artisti come per Richard Moult la ricerca sonora applicata ai luoghi non è mera speculazione intellettuale, bensì riveste contenuti concreti, tangibili nella quotidianità della percezione ma allo stesso tempo insondabili, sotto forma di testimonianze di lungo periodo, tra storia e mitologia arcana.
Il suo ultimo lavoro è infatti interamente ispirato alle isole Ebridi esterne, dove da qualche tempo risiede, ed è frutto di una peculiare combinazione di elementi concettuali eterogenei, così come di una densa sintesi stilistica che abbraccia dimensione cameristica e ambientazione atmosferica. Il filo conduttore che unisce i sei movimenti di “Sjóraust” – due lunghe tracce intorno al quarto d’ora di durata e quattro stanze ben più concise – è non a caso il mare, anzi la sua “voce”, così come recita il titolo del lavoro, frutto dell’unione dei due termini norvegesi che la identificano.
Perché “la voce del mare”? Perché una parola norvegese? Entrambi gli interrogativi trovano risposta nella genesi ispiratrice del lavoro, per la quale Moult si è semplicemente limitato ad assorbire le sensazioni della costa delle isole, aspra e battuta dai venti, modellata dagli elementi nel corso di tempi geologici così come, in tempi relativamente più recenti, dall’occupazione normanna. Tanto è stato sufficiente al compositore inglese per materializzare quella dimensione spazio-temporale aliena ricorrente in quasi tutte le sue creazioni e fedelmente caratterizzante “Sjóraust”, tanto in termini di premessa istintiva – molto più che concettuale – quanto di resa sonora.
Le sei pièce scorrono infatti come una galleria di immagini e sensazioni tratte da una condizione di isolamento sublime, nella quale natura e immanenza umana si fondono in una sintesi al tempo stesso spettrale e profondamente romantica. La prima ricorre nei passaggi dalle atmosfere più ipnotiche e stranianti, spesso costruite soltanto su prolungate elongazione d’archi, nonché nei negli spoken word e nei vocalizzi che riecheggiano un canto delle sirene disperso nella notte dei tempi, mentre la seconda si manifesta nelle aperture cameristiche più decise. Entrambi gli elementi convivono, spesso scolorando l’uno nell’altro, in particolare nei due brani più lunghi, sinfonie in miniatura in lenta evoluzione, così come le correnti mutevoli di un mare, le cui risacche scandiscono i movimenti di pressoché tutti i brani.
Che si tratti infatti delle prolungate sequenze cinematiche della terza e della sesta pièce, ovvero delle istantanee cameristiche della quarta e della quinta, fin dalle esili increspature di quella iniziale, “Sjóraust” si snoda attraverso un’andatura regolare, progressiva, coerente come i passaggi di una narrazione (quasi) priva di parole, che abbraccia un arco temporale inattingibile alla dimensione umana. Proprio questo appare il fine ultimo della peculiare rappresentazione sonora del paesaggio di Richard Moult, di fronte alla consapevolezza della marginalità individuale rispetto ai tempi della natura e a quelli della storia, pure in qualche modo eternizzata dalla magia arcana di una testimonianza piccola ma profondamente poetica di ascetica contemplazione naturale.
*disco della settimana dall’11 al 17 aprile 2016