AERIAL M – Aerial M
(Drag City / Domino, 1997)
A metà strada tra la sua Lousville, patria delle destrutturazioni noise e della post-moderità cameristica, e la Chicago delle sperimentazioni “colte”, David Pajo è stato tra le figure musicali più versatili degli anni Novanta, portando poi con sé nel decennio successivo un bagaglio di esperienze tale da renderne ancor più eterogeneo il già amplissimo orizzonte espressivo.
Dopo un periodo personale travagliato, culminato nell’annuncio di un tentativo di suicidio poi fallito a inizio 2015, Pajo è tornato lo scorso anno alla musica con un disco di canzoni rock oscure e graffianti, ennesima incarnazione di un percorso che a cavallo del passaggio di secolo lo aveva visto incarnare splendidamente il ruolo di cantautore sotto l’alias Papa M.
Era solo il primo mutamento di una camaleontica attività solista, intrapresa un paio d’anni addietro, sulla base di tutt’altre premesse, radicate in profondità in quelle che erano state le sue principali frequentazioni artistiche, appunto rappresentative al massimo livello delle due città che definivano l’evoluzione della musica alternativa americana dell’epoca, riassunte in maniera quanto mai fulgida: Slint e Tortoise.
Da entrambe quelle incredibili esperienze, ha tratto le mosse Pajo per affacciarsi per la prima volta a una produzione solista, estremamente intima eppure presentata come se si trattasse dell’esecuzione di partiture altrui. La locuzione “As Performed By…”, che introduceva l’omonimo debutto di Pajo a nome Aerial M, designava una breve raccolta di brani strumentali, parimenti votati all’atmosfera e all’apposizione di tempi scanditi con precisione matematica alle sue trame chitarristiche delicatamente introverse.
Si comprende fin dalle indolenti movenze dell’iniziale “Dazed And Awake”, con le sue cristalline armonie che si riconcorrono in lieve crescendo, come la dimensione del lavoro sia molto più prossima alla razionalità creativa di “Millions Now Living Will Never Die” dei Tortoise (uscito l’anno precedente e al quale Pajo aveva partecipato) che non agli spasmi rumoristi dei Slint. Le due principali declinazioni statunitensi del gergo “post-rock” trovano tuttavia sintesi in Aerial M, assumendo la terza forma di cadenze metronomiche e brevi loop applicate a corde lentamente scosse; è la chitarra stessa a mutare di consistenza e lessico, diventando quasi veicolo di partiture classiche secondo modalità non troppo distanti dai concittadini Rachel’s, come nell’aggraziata amonia di “Wedding Song No.2” e nelle stesse riflessive filigrane armoniche di “AASS”, che coniuga dilatazioni lounge con sfumate ritmiche jazzy.
Nella sola “Skrag Theme” l’aspetto dinamico rimanda, seppure in maniera sfumata, agli stop-and-go che in quel di Louisville decostruivano parimenti distorsioni e spunti cameristici, mentre le semplici modulazioni in reverse di “Compassion For M” completano la trasfigurazione – questa sì davvero “post-rock” – del suono della chitarra in un’ambience granulosa, avvolgente e ipnotica. Tra le mutevoli declinazioni del fragile equilibrio delle trame chitarristiche presentate nel corso dell’album, è l’ultima ad essere emblematica del tocco minimale e del mood cerebrale di Pajo e al contempo a lasciare traccia della sua successiva mutazione in Papa M, ovvero quella “Always Farewell” che alla sua ricerca sulle corde della chitarra dischiude malinconici orizzonti country-folk.
Nella sua apparente semplicità, il debutto di Aerial M resta ancora oggi un lavoro la cui ricca complessità di timbriche delinea un linguaggio sonoro originale, sfuggente alle definizioni, ancorché strettamente legato alle più stimolanti esperienze “oltre il rock alternativo” degli anni Novanta, al pari della biografia di uno dei più rappresentativi testimoni dei vari aspetti di quella straordinaria temperie creativa.