VV.AA. – From The Furthest Signals
(A Year In The Country, 2017)
Il paesaggio non è solo uno sfondo naturale e umano che si osserva e del quale si catturano le vibrazioni sonore; non è nemmeno un dato assodato e suscettibile soltanto di lenta mutazione. È invece uno scenario mutevole, costituito anche e soprattutto di storie, ricordi e creazioni dell’intelletto atte a inciderne tanto sulla percezione quanto sulla sua effettiva identità. Sembra questo il filo conduttore delle più recenti uscite del collettivo A Year In The Country, che dai racconti di uno spettrale immaginario bucolico è transitato a una ben più articolata raccolta di memorie e visioni sia impresse nel paesaggio che allegate a una dimensione immateriale e “liquida”.
In tal senso, non stupisce più di tanto che il più recente capitolo dell’itinerario di ricerca del collettivo sia addirittura improntato a un concept tecnologico, estrapolato da emissioni sonore provenienti da film e programmi radiofonici e televisivi. Il tutto è ovviamente confezionato con l’abituale tocco surreale da ben quattordici artisti, che scandagliano ampi spazi atmosferici alla ricerca di frequenze analogiche e occasionali sfumature acustiche, sospese in un altrove nel quale reale e immaginario, suoni reali e artificiali, si fondono in un viaggio non sempre agevole in un non-luogo generato dalla mente.
Tra i partecipanti a “From The Furthest Signals”, oltre ad habitué quali David Colohan, Time Attendant, Sproatly Smith, The Hare And The Moon, compaiono anche le sinuose modulazioni vocali di Sharron Kraus e le sature correnti droniche di Pulselovers, tutti partecipi di una incessante ricerca di A Year In The Country, da autentici rabdomanti del suono.
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