JAMES MURRAY – Heavenly Waters
(Slowcraft, 2017)
Benché James Murray sia artista abituato a pubblicazioni copiose (già tre album negli ultimi dodici mesi), “Heavenly Waters” si differenzia dai suoi lavori più recenti tanto per genesi quanto per contenuto. Innanzitutto, la sua elaborazione ha attraversato praticamente tutto l’arco dell’attività dell’artista inglese, dispiegandosi lungo un intero decennio, nel corso del quale i brani che ora lo compongono sono stati oggetto di progressive stratificazioni di suoni e suggestioni, tutte comunque accomunate da un approccio al tempo stesso visionario e meditativo.
È un’ambience liquida e pulsante di minute frequenze a caratterizzare l’ora di durata di “Heavenly Waters”, costellata da modulazioni silenti e occasionali increspature, sotto forma di detriti cosmici e di saturazioni sintetiche che la rendono densa e misteriosa. Il lungo viaggio sonoro, guidato con estrema perizia da Murray, conduce dunque verso una dimensione aliena in bilico, tra abbandono sensoriale e sottile tensione, la medesima appunto risultante dall’esplorazione di infiniti spazi fisici e mentali.