MARLA HANSEN – Dust
(Karaoke Kalk, 2020)*

Dodici anni tra l’album di debutto e il suo seguito sono un periodo tale per cui il profilo dell’artista che realizza il secondo non possa non essersi significativamente trasformato, soprattutto in ragione delle esperienze intercorse in tale lasso temporale. Se ai tempi di “Wedding Day” (2007), il retroterra di Marla Hansen consisteva nella militanza nel quartetto d’archi Osso, che aveva affiancato Sufjan Stevens nel caleidoscopico “Illinois”, oggi la cantante e suonatrice di viola è una cantautrice e compositrice a tutto tondo, reduce da performance accanto a My Brightest Diamond, Jens Lekman e National e nel frattempo trasferitasi a Berlino, nel cui fervente crocevia artistico hanno tratto origine le otto canzoni del tardivo secondo album “Dust”.

Si tratta appunto, innanzitutto, di canzoni, canzoni la cui scarna matrice folk di base è rivestita da un lato da una varietà orchestrazioni, nelle quali si percepisce chiaramente la formazione classica di Marla, e dall’altro di sfumature tipicamente berlinesi, apportate in particolare dalla collaborazione con Barbara Morgenstern, le cui screziature elettroniche ammantano tutti i brani che formano il lavoro.

Le misurate interpretazioni dell’artista statunitense scorrono lievi su basi chamber-folk venate di elettronica, amplificate da un ulteriore quartetto d’archi e da una sezione di fiati la cui ricchezza armonica non contraddice l’essenzialità di una scrittura scorrevole e sempre estremamente delicata. I mutevoli contesti sonori che caratterizzano la scaletta di “Dust” spaziano da scarne strutture folk incorniciate da arrangiamenti di leggerezza sognante (“Trace”, “Rare”) a più pronunciate segmentazioni ritmiche (“Of Us All”), nei cui interstizi continuano tuttavia ad affiorare saggi di una classicità senza tempo (“Break”).

Tutto ciò rende “Dust” un lavoro dalle mille sfaccettature, che brano dopo brano non manca di regalare sorprese e variazioni, tutte gestite con grande classe e con un dosaggio di elementi orientato a moderata sperimentazione, senza perdere di vista l’immediatezza compositiva e gli aspetti melodici di canzoni frutto di evidente maturità di scrittura. La lunga attesa è stata, dunque, pienamente ripagata e consegna oggi il profilo di un’artista a tutto tondo, che dimostra cosa sarebbe potuta essere oggi Shara Worden senza orpelli teatrali, elevando al contempo una formula di cantautorato “folktronico” a una consapevole dimensione orchestrale.

*disco della settimana dal 2 all’8 marzo 2020

https://www.marla-hansen.com/

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