EPIC45 – Cropping The Aftermath 
(Wayside And Woodland, 2020)*

Com’è naturale che sia, qualsiasi musicista prima di diventare tale è stato un appassionato, che fin da giovane o da giovanissimo ha manifestato curiosità per il mondo dei suoni, assorbendone dei più svariati, fino a coltivare il sogno di suonare in una band.
A una simile storia di formazione musicale e, soprattutto, ai ricordi del tempo che porta con sé è dedicato il nuovo lavoro degli epic45, pubblicato – per la prima volta in vent’anni – a soli pochi mesi di distanza dal precedente “We Were Never Here”. Ebbene, “Cropping The Aftermath” costituisce la vera e propria altra faccia della medaglia di quell’album interamente strumentale, che a sua volta presentava, anche attraverso l’associazione con le immagini, l’aspetto più propriamente paesaggistico della biografia personale e artistica di Ben Holton e Rob Glover.

I nuovi brani, in prevalenza cantati, scandagliano invece le prime memorie musicali dei due, amici di lunga data cresciuti tra anni Ottanta e Novanta in zone rurali dell’Inghilterra, dove giungevano soltanto echi distanti dei suoni trasmessi da vecchie radio a transistor. A quel lontano spaccato adolescenziale, a suo modo pionieristico e intriso di inevitabile malinconia, è interamente dedicato “Cropping The Aftermath”, che rappresenta in fondo l’applicazione dello sguardo contemplativo e nostalgico di Holton e Glover, per una volta, non a luoghi e paesaggi, bensì al percorso che li ha portati realizzare in epic45 una delle esperienze artistiche più caratteristiche e poetiche del panorama indipendente degli ultimi due decenni.

In particolare Glover, con il suo personale progetto Field Harmonics, non è nuovo a manifestare fascinazioni per sonorità eighties, che tuttavia per la prima volta vengono rifuse in maniera così evidente in un lavoro della band. “Cropping The Aftermath” respira infatti l’aria torbida e i languori romantici del post-punk di quegli anni, costellato com’è da scie sintetiche e pulsazioni elettroniche a tratti pronunciate, che uniscono con sorprendente naturalezza spleen adolescenziale e tentazioni da dancefloor (ascoltare “Towpath Acid” per credere), il synth-pop dei New Order con i suoni wave della 4AD di quegli anni, fino a lambire spunti del “Madchester sound”.

Eppure, le suggestioni sonore che costituiscono la base del lavoro risultano filtrate, come i ricordi che recano con sé, dall’attuale sensibilità artistica di Holton e Glover, che oltre a mostrare un agrodolce divertimento nel riesumare le loro passioni da ragazzini, non hanno mancato di combinarle con le loro abituali contemplazioni atmosferiche, che tornano in superficie sotto forma dei vaporosi riverberi condensati in passaggi e code strumentali. In “Cropping The Aftermath” c’è poi spazio per vere e proprie canzoni, non soltanto popolate da armonie visionarie (“Brothers”, “Caught Into Branches”), ma anche da un crescendo di incalzante tensione, culminante nell’urlo finale di “Buildings Arent Haunted People Are”. I contorni delle immagini offerte dal lavoro restano tuttavia sempre sfumati, in piena coerenza con lo sguardo contemplativo e nostalgico proprio della band, che stavolta ha mutato punto di osservazione del proprio mondo, applicandovi i filtri colorati e lievemente distorti di un tempo e di memorie lentamente evanescenti, sulle ali di loop, battiti e frequenze avvolgenti… senza fine.

*disco della settimana dal 19 al 25 ottobre 2020

http://epic45.com/

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