giulio_aldinucci_spazio_sacroGIULIO ALDINUCCI – Spazio Sacro
(Time Released Sound, 2015)

Dagli strati più bassi e visibili dell’atmosfera verso una dimensione spirituale immateriale, alla quale elevarsi attraverso il suono recato con sé da luoghi deputati al confronto con le componenti più profonde dell’essere. È questo il percorso idealmente sotteso al nuovo lavoro di Giulio Aldinucci, che ha condotto l’artista senese dal precedente, splendido, “Aer” a uno “Spazio Sacro” innanzitutto rappresentativo di spazi fisici come quelli di abbazie e santuari che popolano le colline del suo territorio d’origine.

Proprio in tali contesti Aldinucci ha catturato i suoni poi rielaborati nei sette brani del lavoro, che rispecchiano fedelmente il carattere verticale delle architetture sacre, le loro alternanze di vuoti e pieni, di luci e ombre, funzionali a suscitare un riflessivo ripiegamento verso l’essenza, quando non un’astrazione in grado di trasportare in un altrove intangibile.

Anche senza conoscerne titolo e traccia concettuale, dai quaranta minuti di “Spazio Sacro” traspare una naturale solennità spirituale, veicolata da modulazioni di timbri organici ed aperture maestose, interpolate da minuti granuli sonori, sotto forma di risonanze, frammenti liquidi e ulteriori dettagli raccolti in loco. È sufficiente l’incipit “The Hermit” per essere accolti nella fresca penombra di un monastero incastonato in una vallata circondata da verdi filari di viti: la proiezione all’infinito e le persistenze evocative del brano si lasciano tuttavia ben presto alle spalle il contesto esterno per un’esperienza immersiva d’ascolto che si snoda attraverso le texture intricate di “Ricordo” e le luminose volute di “Sator”, tra le quali è quasi dato percepire il pulviscolo sospeso in un prisma di luce filtrata.

Non sola contemplazione promana dalla sacralità dei luoghi, che comprende altresì gli stridori pronunciati di “Mountain”, una ritrovata dimensione ambientale, immersa nella nebbia e spazzata da pioggia e vento, in “Come un immenso specchio d’inverno” e il saturo coro spettrale della conclusiva “Camino”.
Dal contesto esteriore al rapimento spirituale il passo è breve negli spazi perpetuati dall’elaborazione di Aldinucci, il cui stesso soundscaping ambientale assume in “Spazio Sacro” una connotazione umana non più soltanto simbolica ma radicata negli istinti profondi che luoghi e suoni, insieme, possono suscitare.

http://www.giulioaldinucci.com/

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