MINKS – Tides End
(Captured Tracks, 2013)
Non accenna a svanire l’onda lunga del revivalismo eighties da parte di band e artisti americani raccolti intorno alla Captured Tracks di Mike Sniper, etichetta che con i vari Wild Nothing, Soft Moon, Beach Fossils e Widowspeak ha enucleato una propria impronta distintiva, che un paio d’anni fa rifulgeva con la freschezza di esordi più o meno casalinghi e comunque dotati della spontanea immediatezza di una propensione stilistica genuina.
L’inevitabile difficoltà di dare continuità a quello spirito iniziale, unita al desiderio di rifinire in maniera più professionale le loro opere, appare però un significativo freno per le seconde opere sulla lunga distanza di quasi tutte quelle band, tra l’altro nella maggior parte dei casi per la prima volta concepite come tali, visto che gli esordi avevano spesso costituito poco più che raccolte di singoli elaborati in un periodo di tempo più lungo.
Non fanno eccezione a simile parabola nemmeno i Minks di Shaun Kilfoyle, attesi alla prova di un arduo seguito del convincente “By The Hedge”, equilibrata miscela di propensioni pop e nostalgie post-punk velate d’oscurità. Le dieci canzoni del nuovo “Tides End” si fondano innanzitutto su una perdita, quella della suadente voce femminile di Amalie Bruun, che lascia al timbro un po’ monocorde del solo Kilfoyle il compito di conferire omogeneità armonica a brani nei quali l’asse tra chitarre e tastiere si sposta decisamente nella direzione delle seconde.
Ai suggestivi rimandi a Wake o Felt, nei nuovi brani si sostituiscono quindi impressioni di più marcata impronta electro-pop, pur sempre filtrata attraverso un’aura decadente affine a quella dei primi Cure. I synth pulsanti dell’iniziale accoppiata tra la vivace “Romans” e la più torbida “Everything’s Fine” stabilisce da subito il mood estetico dell’album, il cui percorso vedrà i brillanti suoni delle tastiere solo occasionalmente contornati da ipnotiche torsioni elettriche (“Hold Me Now”), e morbidi languori chitarristici (“Hold Me Now”).
Al di là della precisa opzione sonora, che pure in qualche caso strizza smaccatamente l’occhio al synth-pop anni ’80 da classifica, “Tides End” stenta a restituire l’ariosa leggerezza dei tanti potenziali singoli che formavano il lavoro precedente; sarà anche per il non eccelso registro interpretativo di Kilfolye, ma di melodie capaci di farsi ricordare restano qui quasi solo quelle di “Playboys Of The Western World”, dolcemente trasognata e con residui accenni jangly, e che in “Margot” corrono fluide su un tappeto di danzanti impulsi sintetici.
Sicuramente il venir meno della seconda voce ha sottratto varietà al ventaglio di soluzioni dei Minks, tuttavia limitato anche da una scrittura pop non all’altezza delle aspettative suscitate dall’esordio. Non per questo “Tides End” è da interpretarsi quale prova del tutto negativa, riservando in fondo anche ambientazioni di piacevole e dichiarata retroguardia; visto però che dai suoi brani emerge uno sviluppo non dissimile rispetto a quello di altre band del roster Captured Track, si può cominciare a pensare che per i vagheggiatori d’oltreoceano della wave inglese d’annata sia forse giunto il momento di non lasciarsi avvincere da una nostalgia di carattere soprattutto estetico.