CAUGHT IN THE WAKE FOREVER – Meditations In Exile
(Soft Corridor, 2013)
Per pochi altri artisti la creazione musicale è fedele espressione dei moti dell’animo e delle esperienze personali di un periodo della propria vita come per Fraser McGowan. Si direbbe che ogni pubblicazione discografica dello scozzese rappresenti un po’ una pagina di un diario interiore, un episodio di una narrazione personale intimamente sentita.
È così anche nel caso delle sette brevi “Meditations In Exile”, miniature contrassegnate soltanto dal numero progressivo delle tracce e, appunto, frutto della meditazione praticata da McGowan nel corso degli ultimi due anni, nonché intesi a fargli ritrovare il piacere di comporre dopo gli impegni conseguenti alla realizzazione dell’album di debutto del suo progetto solista Caught In The Wake Forever, l’intensissimo “Against A Simple Wooden Cross”, a sua volta giunto ad esito di un momento molto delicato e significativo della sua vita.
Prima di accingersi all’elaborazione del nuovo disco (la cui uscita è prevista il prossimo anno), Fraser ha così deciso di tornare, su nuovi strumenti e macchinari, a un metodo compositivo rudimentale e spontaneo, da lui applicato una decina di anni fa, fondato su improvvisate miniature a base di loop ed effetti, catturate su essenziali registratori quattro tracce. Da questo esperimento hanno tratto origine sette frammenti registrati, in teoria, a puro scopo personale, che oggi vedono invece la luce in formato di Ep pubblicato in edizione limitata dalla belga Soft Corridor.
Trattandosi di materiale volutamente grezzo ed eterogeneo, “Meditations In Exile” condensa in appena diciassette minuti buona parte del campionario di McGowan, accantonandone per il momento il solo aspetto melodico-cantautorale per sviluppare invece quello di manipolazione di coltri sintetiche e morbidi riverberi. Benché dunque le schegge qui raccolte siano inevitabilmente incompiute e rivolte al profilo più attinente alle ambientazioni sonore, se ne può quanto meno trarre qualche indicazione circa i prossimi scenari espressivi di McGowan, che nell’occasione accentua la densità di frequenze elettricamente disturbate concentrandosi al contempo su languori notturni, avvolti da carezzevoli elongazioni di toni chitarristici, come nel secondo e nel sesto frammento. Quest’ultimo, percorso da detriti pulviscolari e fremiti narcolettici, con i suoi cinque minuti occupa quasi un terzo dell’Ep, risultando il brano relativamente più strutturato del lotto, quello avente già una propria autonoma individualità.
Considerata la natura disorganica e non destinata alle stampe di queste “meditazioni”, l’Ep risulta comunque un’esauriente cartolina dei paesaggi sonori che Fraser McGowan colloca quali fondali delle sue composizioni e anche se, come tale, è da considerarsi alla stregua di una curiosità per appassionati, dalla genesi e dai suoni in esso raccolti si potrà se non altro ricavare una nuova pagina del diario di un artista tanto sensibile da voler condividere anche i momenti della faticosa ripresa dopo un periodo di stanchezza creativa.