mirel_wagner_when_the_cellar_children_see_the_light_of_dayMIREL WAGNER – When The Cellar Children See The Light Of Day
(Sub Pop, 2014)*

Se il primo disco omonimo di Mirel Wagner aveva faticato non poco ad affiorare a livello internazionale a causa di una distribuzione tardiva rispetto alla data di realizzazione, in occasione del suo secondo lavoro la cantautrice finlandese di origini etiopi è supportata dal prestigioso marchio Sub Pop, premessa che da sola dovrebbe assicurarle platee più vaste, per quanto non sempre altrettanto sensibili all’affilata schiettezza del suo songwriting.

In “When The Cellar Children See The Light Of Day”, l’interpretazione della Wagner si conferma ben distante da quelle patinate del revivalismo più o meno indie (tanto per dire, una comparazione con le First Aid Kit sarebbe totalmente fuori fuoco), nonostante questa volta il lavoro sia stato assistito dalla produzione del connazionale Vladislav Delay e dall’ulteriore collaborazione da parte di Craig Armstrong. I contributi di entrambi sono stati tutt’altro che invasivi, appena percepibili in un paio di cammei di violoncello, nel coro distante di “Oak Tree” e nelle rade note pianistiche della spettrale ninnananna finale “Goodnight”; eppure, la produzione di Delay acquista un senso proprio nel misurato conferimento di un’ovattata dimensione spaziale all’asprezza riflessiva e priva di compromessi delle canzoni della Wagner.

Come già nell’esordio, la voce nera della cantautrice finlandese non è l’unico elemento di oscurità di un disco il cui umor cupo è appena alleviato dalla moderata rifinitura produttiva e dalla fluidità ritmica del picking chitarristico. È sufficiente il blues scarnificato dell’iniziale “1 2 3 4” a stabilire da subito il canovaccio del lavoro (“I got a big big heart and lots of love and it’s hard, and it’s hard, and it’s hard”), nuova confessione a cuore aperto di un animo che specchia le proprie inquietudini dispensando armonie vellutate su cadenzate stille acustiche o graffi accorati su strimpellate aggressive.

Tra il dolente pathos di storie disperate, compaiono tuttavia anche delicati ricordi personali e brevi scorci visionari, che sottraggono per un attimo soltanto le narrazioni della Wagner al loro realismo del tutto privo di edulcorazione. Analogamente, gli spigolosi spasmi bluesy di “The Dirt” e le rarefatte sospensioni di “Ellipsis” e “In My Father’s House” trovano corrispettivo e nella fluida costruzione armonica di “The Devil’s Tongue”, a dispetto del titolo il brano più scorrevole e accessibile del lotto.

Il compito di graduale liberazione del quale la Wagner investe il suo songwriting trova infine coronamento nella parte conclusiva del lavoro, nella quale esorcizza con ispido realismo il fantasma del sentimento in “What Love Looks Like” e si abbandona a uno sfogo dalla tensione lentamente avvampante nei quasi cinque minuti di “Taller Than Tall Trees” (brano sensibilmente più lungo rispetto alla sua abituale concisione), prima di congedarsi con la vibrante “Goodnight”, emblematico ritorno alle tenebre che tanto si confanno all’artista finlandese ma anche unico spiraglio di speranza verso un domani più luminoso. E verso la luce “When The Cellar Children See The Light Of Day” meriterebbe di proiettare Mirel Wagner, interprete dotata di una carica e di una spontaneità espressiva davvero fuori dal comune (altro che fenomeno costruito!), purché si abbia la sensibilità di non fermarsi alla sua superficie essenziale di canzoni spigolose e e difficili come la realtà che, magistralmente, raccontano.

*disco della settimana dall’11 al 17 agosto 2014


http://mirelwagner.com/

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