WILLIAM RYAN FRITCH & MATT FINNEY – A History, In Boxes
(Lost Tribe Sound, 2017)
Non è qualcosa di radicalmente inedito per William Ryan Fritch completare con parti vocali le sue oblique composizioni da camera, né per Matt Finney associare le proprie tenebrose narrazioni in spoken word a basi sonore sperimentali, com’era avvenuto giusto un anno fa con Siavash Amini in “Familial Rot“. Ciò non significa tuttavia che la collaborazione tra i due che ha generato “A History, In Boxes” non sia affatto ambiziosa; anzi, dato il profilo di entrambi gli artisti dal loro incontro non poteva scaturire se non qualcosa di estremamente intrigante.
Il grave timbro di Finney, i suoi testi densi di rimpianto umano e la loro esplicita ispirazione cinematografica trovano infatti sponda ideale nella poliedrica strumentazione del compositore californiano, la cui alternanza di registri e sonorità rispecchia in maniera estremamente fedele i saliscendi emotivi delle storie narrate, sfocate dal tempo e illanguidite dalla nostalgia. Movimenti d’archi di toccante solennità dominano per ampi tratti il corso del lavoro, amplificando le suggestioni impresse indelebilmente nella memoria e non più reversibili, come immagini su una pellicola in bianco e nero; alternando con straordinario equilibrio occasionali crescendo distorti, granulose frequenze ambientali e gentili tocchi acustici, Fritch elabora una cornice ideale per il crooning parlato di Finney, che pure continua a risultare pienamente autosufficiente in passaggi strumentali che a tratti si dischiudono in maestose elevazioni da colonna sonora.
Per quanto diversi ne siano i presupposti, più di un passaggio di “A History, In Boxes” può far pensare al coronamento, vent’anni dopo, dell’evoluzione di quel post-rock orchestrale che spesso presentava parti in spoken word, qui invece organicamente legate agli aspetti compositivi, e del quale le creazioni di Fritch e Finney condividono senz’altro gli aspetti di latente tensione e austero romanticismo.