TOBY HAY – The Longest Day
(The State51 Conspiracy, 2018)
Già nel suo debutto “The Gathering”, pubblicato all’inizio dello scorso anno, Toby Hay aveva dimostrato l’estensione del proprio orizzonte di chitarrista solitario ben al di là dei confini geografici della tradizione americana e di quelli stilistici del mero virtuosismo esecutivo.
Il secondo album “The Longest Day” rappresenta dunque il naturale stadio di sviluppo della personalità dell’artista gallese, il cui picking acustico sulla sei o dodici corde permane al centro di otto brani strumentali, nei quali è tuttavia affiancato da contrabbasso, percussioni, violino e sax. Dall’interazione degli elementi di tale piccolo ensemble, risulta una sequenza di variopinte istantanee sonore, sospese tra cinematici richiami alle distese selvagge d’oltreoceano e una varietà di suggestioni in qualche misura “atmosferiche”. Al mutare degli immaginari di riferimento, le esecuzioni di Hay si fanno ora decise e vigorose, in una declinazione del ritualismo aperta a tradizioni musicali orientali o africane, ora placido complemento di dialoghi strumentali di consistenza vellutata.
Non sovviene infatti solo un’America da cartolina tra i solchi di “The Longest Day” (“Leaving Chicago”, “Curlew (part 1), ma anche rigogliosi scorci di romanticismo bucolico (“Late Summer in Boscastle”), che in conclusione scolorano in un’ambience incantata “At The Bright Hem Of God”, suggellando la proiezione dell’artista gallese dal fingerpciking di base verso una compiuta formula di “camerismo acustico”.