TIM HECKER – Konoyo
(Kranky 2018)
Non è una novità che le creazioni sonore di Tim Hecker si alimentino di un isolamento creativo dalla forte matrice spirituale, oltre che di una ricerca di riferimenti culturali sempre nuovi. Nel caso del suo nono album “Konoyo”, spunto e realizzazione hanno trovato origine in Giappone, dove ampie sue parti sono state registrate in un tempio alla periferia di Tokyo, con la partecipazione di un locale ensemble di gagaku, un particolare tipo di elegante musica classica, abitualmente suonata a corte degli imperatori.
Su questa base, l’artista canadese ha costruito una nuova sinfonia di drone visionari, che si dispiegano lungo sette pièce dai movimenti lenti e aggraziati. Rispetto alle pronunciate texture sintetiche del precedente “Love Streams”, il substrato acustico di “Konoyo” dà luogo ad ambientazioni decisamente più calde e avvolgenti, nei cui interstizi si percepiscono talora in maniera distinta risuonanti elementi ritmici e armonie di fiati che, interpolati a occasionali dissonanze, vi donano contorni di quasi sacrali.
Nella stessa misura, Hecker sembra rinunciare all’immediatezza di impatto delle sue abituali cattedrali sonore, costruendole piuttosto “in negativo”, attraverso un lavoro di progressiva erosione di una materia la cui densità risulta anzi così accentuata, al pari di contenuti immaginifici che mai come in questo caso suggeriscono un’ascesi emozionale di eleganza atemporale.