ORLA WREN – Book Of The Folded Forest
(Home Normal, 2013)
Settanta minuti di musica, sette video e sei cartoline, il tutto racchiuso in una splendida confezione dai toni seppiati costituiscono l’esperienza totalizzante dell’itinerario atemporale in un bosco incantato tracciato nel terzo lavoro del misterioso asceta elettro-acustico Tui, alias Orla Wren.
Nei quattro anni trascorsi dal precedente “The One Two Bird And The Half Horse”, lo stimato artista inglese ha coniugato i suoi solitari contatti con la natura, alla ricerca di suoni e suggestioni misteriose, con un’ulteriore significativa maturazione della vocazione all’ampliamento a strumenti acustici e da camera del suo universo brulicante di field recordings e minuti frammenti di note e toni prodotti da flauto, clarinetto, tastiere analogiche e dalle matrici sonore più disparate, da strumenti giocattolo a quelli di derivazione etnica orientale.
Le note di copertina relative a ciascuna delle tredici tracce di “Book Of The Folded Forest” elencano una lunga teoria di ospiti e collaboratori, che aggiungono ulteriore ricchezza di soluzioni agli innumerevoli strumenti e dispositivi impiegati dal solo Tui e, in numerosi brani, aprono all’ingresso delle voci le stranianti texture da lui accuratamente elaborate. Non si tratta semplicemente di uno degli ormai frequenti accostamenti di elementi melodici a manipolazioni sperimentali, quanto piuttosto di essenziale componente narrativa di un percorso musicale arcano, profondamente intriso di misticismo naturalistico e ammantato da una spettrale aura vittoriana, resa ancor più solenne da percussioni ovattate e dalla ricorrente presenza del violoncello di Aaron Martin (sostituito da quello di Danny Norbury nella traccia d’apertura, scritta insieme a Paddy Mann).
L’avvicendamento delle voci femminili, in funzione di interpreti di simulacri di canzoni o di semplice spoken word, eleva le varie Jessica Constable, Joanna Joachim, Eva Puyuelo e Heidi Elva a vestali di pagane divinità silvestri, alle quali affidare ricordi ed emozioni cristallizzate nel tempo da un’incredibile varietà di ambientazioni, che spaziano da persistenze ossessive ad abbracci di vibrante camerismo, da stille bucoliche a statiche frequenze subliminali. I sognanti riverberi elettrici di Frédéric Oberland e Cyril Secq e gli ulteriori fiati di Keiron Phelan e Katie English completano il quadro delle illustri integrazioni all’orchestra in miniatura di Tui, sommo cerimoniere di un lavoro senz’altro ostico e di disorientante mutevolezza, dal quale tuttavia si staglia con decisione una peculiare e articolatissima declinazione di un’elettro-acustica capace come non mai di disegnare mondi alieni attraverso una mirabile ibridazione di suoni, linguaggi e culture.
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