E.L. HEATH – Tŷ
(Wayside And Woodland, 2013)
L’aria della nuova stagione che soffia sopra la countryside vagheggiata e vissuta dal collettivo di artisti gravitanti attorno agli Epic45 e alla loro etichetta Wayside And Woodland trova nuova manifestazione nel quarto lavoro di Eric Heath, in origine quello più sperimentale del lotto.
A decisa conferma dell’apertura a linguaggi espressivi più articolati e melodici evidenziata nel precedente Ep “A Song For The Village Of New Invention”, “Tŷ” mostra l’artista di origine americana, ma da tempo residente nello Shropshire, immergersi completamente nel contesto a sé circostante, abbandonandosi alle suggestioni da esso evocate, a cominciare dalla lingua. I nove brani che compongono la mezz’ora di durata del lavoro sono innanzitutto canzoni vere e proprie, cantate in gaelico e ammantate dei colori bucolici e dei cieli ad essi sovrastanti, pennellati da morbide tastiere e chitarre riverberate, che unisce languori contemplativi e reminiscenze di psichedelia rurale alla rivelazione di una sensibilità pop lieve e trasognata.
Le collaborazioni di membri degli Epic45, nonché di Lukas Cresswell-Rost (The Pattern Theory), Joe Cave (Babytwin) and Elaine Reynolds (Fieldhead/The Boats) aggiungono alle fluide melodie di Heath un caleidoscopio di sfumature che vanno dalla scatenata acidità di “Pan Mae’r Cathod yn Rheoli’r Môr” ai gentili arpeggi folk della conclusiva “Peilonau”, passando per le progressioni di feedback di “Bendigedig” e “Bwgan”, il brano dall’attitudine in assoluto più affine a quella della band di Ben Holton e Rob Glover.
Su tutto, resta però la piacevolissima scoperta della vivace vena melodica di Heath, che ancorché in prevalenza avvolta da una diffusa policromia psych, si manifesta in tutta la sua cristallina purezza nel singolo “Yr Sioe Afanc” e in “Stŵr y Mae”, brani che anche per il comune codice linguistico non può non far pensare ai Gorky’s Zygotic Mynci. Mentre le recenti derive di Epic45 e Field Harmonics sembrano virare con decisione verso il recupero di sonorità sintetiche eighties, in “Tŷ” Heath le filtra attraverso un’aura trasognata e un inusitato candore pop, pervenendo a un equilibrio di pregevole coerenza tra le rinnovate esplorazioni sonore e le consolidate contemplazioni di paesaggi campestri appena lambiti da componenti antropiche.
Un commento Aggiungi il tuo