NYMPHALIDA – Portraits
(Tranquillo / Psychonavigation, 2014)
Non è da tutti realizzare affascinanti ritratti in bianco e nero con pianoforte, chitarra e synth. Tale ambiziosa pratica artistica è perseguita con cura e sensibilità non comune nel suo debutto sotto l’alias Nymphalida da Pietro Bianco, ormai ennesimo artista sardo a seguire la strada che ha condotto conterranei quali Stefano Guzzetti, Andrea Carri e Francesco Perra a pubblicare tramite l’etichetta irlandese Psychonavigation, che licenzia “Portraits” per i tipi della propria sussidiaria Tranquillo, interamente dedicata a produzioni italiane.
Oltre che ambiziosa da un punto di vista formale-concettuale, la proposta di Bianco si colloca in una posizione eccentrica rispetto alle semplici declinazioni di minimalismo neoclassico-ambientale incentrate sul pianoforte, per la fondamentale presenza nei sei ritratti raccolti nell’album non solo dell’ulteriore elemento chitarristico ma anche di quello vocale. Desterebbe infatti una certa sorpresa, a chi non leggesse le note di copertina dell’album, l’ingresso di un’evocativa parte cantata nella seconda metà dell’iniziale “Shell”, fino a quel punto svolta come una suggestiva progressione pianistica innestata su un’ambience sintetica che funge da moderato accompagnamento in luogo degli archi; ulteriore sorpresa è l’ultimo segmento dello stesso brano, che vede l’entrata in scena di arpeggi acustici e degli eterei vocalizzi di Alessandra Carta.
Tale primo brano è pienamente emblematico dell’attitudine compositiva dell’artista sardo, le cui composizioni sembrano quasi costruirsi durante l’ascolto, assumendo forme via via mutevoli, anche all’interno della stessa traccia. Pur incentrate principalmente sul pianoforte e su modulazioni sintetiche, le fotografie in movimento di “Portraits” continuano a spaziare dalla fragile grazia armonica di “The Door In The Defensive Walls” e dell’incipit di “Almond Flowers” ad astrazioni ambientali rarefatte in “Invocation” e increspate in un apice rumorista in “Wild Cherry Flowers”.
Gli otto minuti della conclusiva “The Endless Picture” sono il suggello del caleidoscopio espressivo di Bianco, che vortica gradualmente dalla tenebrosa ballata acustica in scala minimale alle sospensioni atmosferiche, fino all’apertura cameristica finale. Dai ritratti in bianco e nero dell’artista sardo si ricava così una sinestesia estremamente stimolante, che realizza un’inedita combinazione tra linguaggi espressivi, ben oltre il semplice neoclassicismo elettro-acustico.