ojerum_fravaersminderØJERUM – Fraværsminder
(Phinery, 2015)

Il danese Paw Grabowski non è un artista facile da seguire: ormai da anni dispensa le sue creazioni musicali sotto l’alias øjeRum in una serie copiosa e disordinata di lavori in download gratuito, cassette in tiratura limitata o semplici brani sparsi per la rete, flebili segnali radio rivolti verso l’infinito, che qualche animo sensibile sappia cogliere e decriptare.

In virtù di tale premessa, un lavoro quale “Fraværsminder” – pubblicato a sua volta in due limitatissime edizioni su nastro magnetico – può rappresentare se non altro una sintesi esaustiva del profilo artistico di Grabowski e un buon punto di partenza per addentrarsi nel suo umbratile universo espressivo. Si tratta di una raccolta di ben diciotto brani, dieci brevi strumentali contrassegnati soltanto dal segno delle parentesi tonde e otto brani più articolati, canzoni narcolettiche dotare di un titolo e di un cantato sottovoce.

Il lavoro rappresenta al meglio i cardini stilistici dell’artista danese, individuabili sul comune denominatore di un intimismo pronunciato, ridotto quasi a un grado zero espressivo tanto quando presentato nella forma di una disadorna ambience acustica quanto nei casi in cui l’elemento vocale rifinisce confessioni rapite, che faticano quasi a uscire dalla sfera dell’artista.
La prima è semplicemente il frutto di catatoniche vibrazioni di corde acustiche che, catturate insieme alle loro naturali risonanze in bassa fedeltà, pennellano atmosfere ovattate e caliginose, sulle quali negli scheletri di canzoni si adagiano i sospiri melodici di Grabowski, spesso appena intellegibili. Si direbbe il portato di una creazione musicale tanto intima da poter sembrare quasi autorefenziale; eppure così non è in quanto le agrodolci carezze al rallentatore di “Fraværsminder” assumono il valore universale di ambientazioni sonore pacate, distese, riflessive.

Solo in alcune delle canzoni (in particolare “Ikke For Ingenting” e “Intet Ansigt”) il songwriting dell’artista danese assume forma in qualche misura organica, lambendo l’inestricabile spleen del giovane Kozelek e la timida introspezione di cantori sad-core quali Chris Hooson o il primo Daniel Bürkner, tutti comunque declinati in sedicesimi.
Che si esplichi in istantanee acustiche o in miniature cantautorali, quella di øjeRum resta un’arte “da cameretta”, non certo per scelta estetica ma poiché mezzi e spirito di Paw Grabowski non possono trovare contesto più congeniale di una solitaria penombra umana e creativa.

http://www.oejerum.dk/

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